Si tratta di una delle questioni che talvolta comportano discussioni tra il medico o l’odontoiatra e il proprio commercialista. E che sfociano spesso in una serie […]
Si tratta di una delle questioni che talvolta comportano discussioni tra il medico o l’odontoiatra e il proprio commercialista. E che sfociano spesso in una serie di altri effetti poco desiderabili anche in relazione a tutte le decisioni successive che sono correlate alla gestione di tale società e alla scelta degli strumenti utili a realizzare l’estrazione del reddito utile a sostenere il tenore di vista del medico/dentista
. Alcuni esempi in questo senso possono essere quelli:
In altri termini, un consiglio quale quello di non fatturare le prestazioni sanitarie alla società da parte del medico – consiglio sbagliato e fondato su basi giuridiche sbagliate, sarà bene il caso di anticiparlo – porta con sé tutta una serie di altri consigli sbagliati e nello stesso tempo inevitabili, dalla cui adozione può derivare una situazione tale da rendere il passaggio alla srl non solo inutile, ma addirittura peggiorativo rispetto alla situazione precedente.
Ne deriva l’assoluta centralità della questione come anche la necessità di dimostrare perché la stessa è basata su convinzioni a interpretazioni della norma del tutto prive di fondamento.
In linea generale, è assolutamente vero che il contratto di società prevede che il socio presti normalmente la propria opera a favore della società. Questa componente costituisce un elemento fondamentale del contratto sociale.
Una società nasce con un particolare oggetto sociale e cioè un ambito ben definito di attività per la cui realizzazione i soci sono normalmente tenuti a contribuire non solo attraverso i conferimenti, ma anche attraverso la propria opera.
In particolare, nelle società di persone ma anche in quelle di capitale, soprattutto quando quelle sono sostanzialmente delle micro-imprese.
Il che ovviamente non significa che i soci non possano costruire una struttura organizzativa che non preveda la presenza di altri prestatori d’opera, quali collaboratori o dipendenti. Significa solamente che a stretto rigore potrebbero farne a meno, soprattutto nelle imprese di più ridotta dimensione.
Attenzione tuttavia a ricondurre tale prestazione d’opera del socio nell’alveo di quelle definite dall’oggetto sociale della società e non all’esterno di quello.
Se la prestazione rientra in quell’alveo, si tratta di una prestazione sociale alla quale non potrà che conseguire un reddito di tipo sociale e cioè il dividendo. Un comportamento diverso sarebbe effettivamente censurabile sotto diversi profili e in particolare sotto il profilo civilistico e tributario.
Tuttavia questa regola generale deve necessariamente ammettere delle eccezioni: la prima è quella per cui il socio sia assunto in qualità di dipendente della società, il che non può comunque mai avvenire se lo stesso è l’amministratore unico o un componente del Consiglio di amministrazione con deleghe piene e/o comunque con deleghe di direzione e coordinamento dei lavoratori dipendenti; e persino non può avvenire se è un socio di maggioranza della società. Il che praticamente esclude l’applicabilità al nostro contesto nella gran parte dei casi, perché il medico o l’odontoiatra tende quasi sempre ad assumere il controllo della propria società e spesso persino ad assumere la carica di amministratore unico e direttore sanitario della stessa.
L’altra eccezione che a noi più interessa è quella che, sulla base di un regolare e ben dettagliato contratto di collaborazione, tale socio ponga in essere un’attività di lavoro autonomo per prestazioni professionali che la società non potrebbe direttamente effettuare ed erogare neanche se volesse. Per la semplice ragione che quelle attività sono protette e riservate a soggetti diversi da lei.
Nella fattispecie che a noi più interessa, la situazione si configura esattamente in questi termini: la srl di gestione di un ambulatorio può avere in oggetto una attività sanitaria complessa e fatturare direttamente al paziente le prestazioni sanitarie, poiché il contratto di cura è stipulato dalla stessa direttamente con il paziente. Ma non può mai eseguire direttamente la prestazione sanitaria; deve necessariamente affidarne l’effettuazione ad un professionista sanitario abilitato. Persino la stp si trova in una situazione non troppo diversa ai fini del discorso che stiamo portando avanti in questo post. Perché è vero che la stessa può esercitare esclusivamente la professione sanitaria e non una attività sanitaria di tipo complesso. Ma può farlo solo in senso figurato, neanche lei potendo fare concretamente a meno di delegarne l’effettuazione ai professionisti persone fisiche che la partecipano in qualità di soci professionisti.
In altri termini, l’eccezione alla regola si giustifica per il fatto che il professionista, nel momento in cui esercita la propria attività professionale per conto della società, agisce ad un livello diverso e autonomo rispetto al contratto sociale e ciò è vero persino quando ne è anche un socio. Quello che fa lui lo può fare solo lui e la società non potrebbe farlo mai. Quindi non si tratta di un’opera inclusa nell’operato del socio ma di un collaboratore esterno. Se poi quel collaboratore esterno è anche un socio, vorrà dire che avremo due tipi di rapporti della stessa persona con la stessa società.
Ne deriva che onde evitare pericolose commistioni e possibili censure da parte delle autorità competenti e in particolare dell’AdE, si deve evitare di ingenerare confusione e mescolare i ruoli attraverso fatti che potrebbero essere interpretati come concludenti.
E in particolare, la remunerazione per queste attività di collaborazione deve essere del tutto diversa e sganciata da quella relativa ai risultati economici dell’impresa stessa. Il professionista, a questo livello del gioco, deve essere remunerato sulla base delle prestazioni effettuate o sulla base del tempo utile ad effettuarle e in nessuna altra forma. Se poi è anche socio, sarà anche ed eventualmente remunerato in altre forme legate ai risultati aziendali, ma i due livelli di partecipazione all’attività sociale devono restare diversi e ben distinti.
Altra prassi consigliabile è quella di stipulare sempre un contratto di collaborazione dettagliato – anche a fini probatori –, in cui siano specificate le condizioni economiche. Oltre quella di emettere fatture con allegata una descrizione analitica delle prestazioni effettuate per ciascun paziente, completa di data e compenso, per l’intero periodo temporale di riferimento. Peraltro, si tratta di un allegato che viene normalmente restituito da qualunque software gestionale di studio.
Da tutto quanto abbiamo esposto deriva che ogni consiglio ricevuto e orientato ad evitare la fatturazione delle prestazioni sanitarie alla propria società non solo è basato su presupposti errati nel timore di violare principi di diritto nel caso specifico inesistenti, ma conduce semmai esso stesso alla realizzazione di un illecito. E quasi non bastasse, comporta tutta la serie di effetti nefasti di cui all’elenco numerato precedente.
Sotto il profilo pratico poi, si deve ricordare che il contratto di collaborazione per prestazioni professionali del socio medico/odontoiatra costituisce la principale e più indicata forma di estrazione del reddito di cui lo stesso potrà mai disporre e anche quella che può essere modellata con la maggiore facilità.
Farne a meno significa costruire una ragnatela di effetti che portano dritto alla non convenienza sotto il profilo fiscale della srl appena costituita.
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