Ovvero: “Contro i detrattori del management” Alcune patologie croniche affliggono sistematicamente la nostra categoria. Esse si chiamano: paura, pigrizia e supponenza. La paura è determinata dalle […]
Alcune patologie croniche affliggono sistematicamente la nostra categoria. Esse si chiamano: paura, pigrizia e supponenza.
La paura è determinata dalle minacce incombenti o già presenti: un tessuto sociale che si modifica sul piano culturale, la scomparsa del ceto medio, l’ostilità mediatica crescente verso le professioni, la comparsa di nuove forme di competizione, i margini di profitto sempre più esigui, una classe politica imbelle e corrotta, e molto altro ancora. Chi ha così tanti problemi e non intravvede soluzioni normalmente ha paura. Le manifestazioni più tipica della paura sono la diffidenza ed il nichilismo professionale, ovvero le caratteristiche dominanti degli studi inattivi, incapaci di reagire e ripiegati su se stessi.
La pigrizia nasce da una distorta percezione della categoria e della professione, ancora idealizzata come punto di arrivo per le fatiche che i nostri genitori hanno fatto per noi e le fatiche che noi facciamo per i nostri figli. Laurearsi oggi in odontoiatria non è un traguardo, è solo una premessa o forse solo la promessa di una prospettiva. Il punto di arrivo non è neppure visibile all’orizzonte lungo un sentiero affollato da migliaia di persone. Chi crede di essere arrivato, senza neppure essere partito, non ha più voglia di camminare: è pigro perché privo di stimoli.
Ma il morbo decisamente peggiore da eradicare è la supponenza perché figlio di una volontà precisa di chi ne è affetto. È l’atteggiamento di chi presume di sapere già tutto quello che gli serve, non si confronta, non si mette in discussione. Il dentista medio ha un ego ipertrofico che gli consente di superare molte difficoltà, ma gli impedisce al contempo di dubitare di se stesso. Il dentista medio è un individualista estremo, abituato a contare solo sulle proprie forze: nessun ammortizzatore sociale, nessuna lobby politica, nessun paravento etico, nessuna indulgenza nell’opinione pubblica. Ma tutto questo aumenta anche sentimenti di diffidenza e di ostilità: i nostri studi sono dei bunker dove siamo abituati a difenderci dalle novità, anche quelle che per noi sarebbero una soluzione.
Ora sulla nostra categoria la pressione selettiva dettata dal cambiamento è fortissima. Ogni grande sconvolgimento (che sia ambientale, politico o culturale) ha sempre portato con sé un risultato: la sopravvivenza nell’arena competitiva dei soli soggetti dotati di caratteristiche idonee a superare il cambiamento.
Quali saranno dunque i caratteri distintivi del dentista di domani? Su questo non ho alcun dubbio: flessibilità, curiosità, umiltà, costanza, etica della qualità.
Ci sono nuove discipline sulla scena professionale che il dentista, afflitto da paura, pigrizia e supponenza, continua ad ignorare, nell’errata convinzione che ciò che sa gli basta e che, alla fine, la tempesta passerà e tutto tornerà come prima. Quando una tempesta passa nulla rimane come prima, tutto è irrimediabilmente e profondamente cambiato. Ciò che era importante potrebbe non esserlo più e viceversa. Queste discipline sono: informatica, comunicazione, economia e etica della qualità.
Il dentista sa benissimo che la matematica è una scienza trasversale: ha formato l’ingegnere spaziale come il cardiologo, il ragioniere come l’architetto. Non si schifa di studiare la matematica perché gliela hanno inserita nel piano di studi formale, quello che lui ritiene lo porterà alla laurea: il “punto d’arrivo”. Lo stesso vale per l’inglese: serve al diplomatico come al manager, al ricercatore come al ristoratore. Il dentista studia l’inglese perché sa che questa disciplina trasversale lo porterà sulla linea del traguardo della laurea, lo considera “normale”.
Ma se si rendesse conto che la vera scommessa si gioca dopo la laurea; se sapesse che le competenze vere, quelle che conferiscono un reale vantaggio competitivo sulla concorrenza, quelle in grado di garantirti la sopravvivenza, sono discipline trasversali, cui non è abituato e alle quali guarda con pigrizia, paura e diffidenza; ecco allora potrebbe diventare un dentista migliore: il dentista del futuro, il dentista che ha un futuro.
Eppure il dentista ha paura dell’informatica, della comunicazione, dell’economia e dell’etica della qualità, perché sono il portato di uno sconvolgimento ambientale che ha trasformato il suo mondo fatto di sicurezze presunte. Non le studia perché è pigro ed incapace di ammettere che arrivare alla laurea (e a tutti i corsi di perfezionamento fatti dopo la laurea) è stata solo la metà del percorso formativo veramente necessario per aprire uno studio e fare il dentista. L’altra metà di quel percorso la ripudia come un sottoprodotto culturale e la disprezza perché orientata al profitto, un atteggiamento di supponenza (appunto) molto più comodo del sacrificio che bisognerebbe fare per completarla.
Alcune situazioni sono di riscontro comune, non c’è molto da discutere. Qualche esempio?
La maggior parte dei dentisti continua a fare il nero perché lo considera economicamente vantaggioso e non capisce che ci rimette. Continua a considerare le proprie assistenti come personale dipendente e non come parte di una stessa squadra. Continua a considerare i colleghi come potenziali minacce e non come straordinarie opportunità. Continua ad usare materiale cartaceo perché non coglie i vantaggi della digitalizzazione totale. Continua a pensare che la qualità delle prestazioni sia sufficiente a garantirgli un futuro. Continua a pensare che il commercialista sia in grado di aiutarlo nella scelta degli investimenti. Continua a trattare con i fornitori con una logica di relazioni personali. Continua a temere, in modo ingiustificato, la concorrenza dei low cost. Continua a credere che le politiche di indirizzo debbano essere decise dai sindacati di categoria. Continua a pensare che tutti i terzi paganti siano uguali. Continua a credere che … tutto tornerà come prima.
Ci sono libri enormi di marketing, management, coaching, leadership, comunicazione, controllo di gestione, diritto societario, accreditamento della qualità, e molto altro ancora, che spiegano come tutto questo sia errato. Questi testi vengono usati quotidianamente da aziende immense come da piccole imprese, dalle spa come dalle fondazioni benefiche, dagli enti commerciali come da quelli religiosi, da chi è tedesco come da chi è brasiliano. Possibile che solo il dentista possa farne a meno? In virtù di quale scienza infusa a priori?
La verità è che questi libri fanno paura, comportano fatica ed è più facile denigrare che studiare come si faceva a scuola: con il coraggio, il sacrificio e l’umiltà di uno studente.
È ora di guarire, dentista!
Sono piccoli passi che ti faranno guarire dalla paura, dalla pigrizia e dalla supponenza: purchè tu lo voglia, naturalmente!
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1 Commento
Un corso di management che per come si propone e per i presupposti descritti in questo scritto concorda pienamente con le mie idee rispetto a come affrontare questo momento di cambiamento globale ed è quello che ho sostenuto anche l’altra sera durante la parte introduttiva del mio corso sulle soluzioni da adottare per il paziente edentulo. Non adeguarsi al cambiamento che sta sconvolgendo il mondo, il mercato, le aspettative dei nostri pazienti, significa sparire dal mercato per selezione naturale. Gli occhi di molti nostri colleghi erano smarriti, qualcuno scuoteva la testa… penso sarà un corso utile per molti.