Nei precedenti articoli sul tema abbiamo visto le motivazioni principali in base alle quali si rende opportuna la scelta per un ruolo dinamico della holding (o […]
Nei precedenti articoli sul tema abbiamo visto le motivazioni principali in base alle quali si rende opportuna la scelta per un ruolo dinamico della holding (o al limite misto). Una holding, cioè, che non si limiti a detenere le partecipazioni ma che eroghi una serie di servizi a beneficio delle controllate.
Tale erogazione comporta l’emissione di fatture per questi servizi, le quali comporteranno un trasferimento di ricchezza dalle controllate alla holding stessa.
Questo trasferimento non può avvenire sulla base di criteri basati unicamente sulle preferenze delle società coinvolte. La tematica cui è dedicato l’articolo dunque richiede alcuni chiarimenti preliminari relativi alla normativa nazionale e internazionale che regola questo tipo di erogazioni da parte della holding alle proprie controllate.
Anche in Italia esiste una regolamentazione in merito, la quale trae origine da quella della UE e prima ancora dalle linee guida generali nella regolamentazione del tranfser price dell’OCSE. In buona sostanza, la questione rimane la stessa a livello interno e internazionale: e cioè quella di determinare un corretto valore di scambio di beni e servizi contro pagamento in denaro in operazioni tra parte correlate. E il motivo è semplice: qualora si ammettesse che la determinazione di questo prezzo fosse liberamente determinabile tra le suddette parti – e cioè nello specifico, tra imprese controllate e controllanti-, il rischio che ne deriverebbe sarebbe ovviamente quello di una innaturale determinazione di quel prezzo. Se ad esempio il prezzo di trasferimento fosse innaturalmente alto, ciò comporterebbe la creazione artificiosa di costi e quindi in ultima analisi la artificiosa diminuzione dell’utile della società che riceve quei servizi e nel contempo la altrettanto artificiosa dilatazione dell’utile della società che quei servizi presta. Altrettanto evidente, a livello internazionale, appare lo scopo di una manovra di questo tipo: quella di spostare gli utili nel paese in cui è domiciliata la holding, ove, guarda caso, quegli utili godono di un regime fiscale di vantaggio. Il che è come dire che con queste pratiche si pone in essere un trasferimento di materia imponibile da Paesi ad elevata fiscalità ad altri Paesi a più bassa fiscalità.
Se questo effetto può essere massimizzato utilizzando le disparità di trattamento tra diversi Paesi, nulla esclude che un effetto analogo si possa ottenere anche all’interno di uno stesso paese. Potrebbe ad esempio accadere che pur agendo nello stesso territorio nazionale sia conveniente mettere in atto una prassi come quella appena descritta al fine di spostare gli utili tra una società residente e l’altra al fine di contenere la fiscalità complessiva di gruppo.
A livello internazionale questa prassi è ritenuta scorretta principalmente perché altera le condizioni di libera concorrenza. A livello domestico, la stessa prassi è ritenuta scorretta perché integra anche una fattispecie elusiva. E tuttavia, la sostanza della questione non cambia; cambia semmai il profilo giuridico attraverso il quale viene guardata.
Che tra i principi internazionali e quelli nazionali corra del resto un rapporto molto stretto è anche dimostrato dal fatto che la normativa interna si è adeguata ben presto a quella internazionale: non solo per le società o i gruppi di società presenti in più paesi, ma persino per i gruppi interamente dislocati in territorio nazionale.
Il principio di base è quello originariamente enunciato nel Modello di Convenzione Bilaterale contro le doppie imposizioni predisposto dall’OCSE e in particolare dall’art. 9, paragrafo 1, lettera b). Quest’ultimo prevede appunto che ove si evidenzi che le condizioni convenute o imposte tra le due società consociate siano “diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni, sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che, a causa di dette condizioni, non lo sono stati, potranno essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati di conseguenza”.
Il Legislatore italiano ha fatto proprio questo principio all’interno del comma 7 dell’art. 110 del TUIR, il quale stabilisce che:
“I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma”.
Oltre che dall’art. 9 TUIR, comma 3 e comma 4:
“Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore.
Si segnala che la normativa domestica in tema di transfer price conta anche la Circolare esplicativa del MinFinanze 22 settembre 1980, n. 32/9/2267 e la Circolare n. 42 del 12 dicembre 1981.
Ci sono poi altre norme di secondo livello introdotte nel 2010 e anche le recenti novità del 2020, di cui parleremo meglio appresso.
Appare dunque evidente che l’applicazione del principio di libera concorrenza in ambito normativo domestico è strettamente correlato con quello di quel “valore normale” in cui in tanti altri casi ci siamo imbattuti.
Deve essere subito chiarito che tale normativa si applica a tutti i gruppi di società e anche a quelli che vedono al proprio interno società esclusivamente domiciliate fiscalmente in Italia: il che significa che questa normativa si applica a tutti i gruppi di nostro interesse capitanate da holding di famiglia.
L’ambito applicativo della stessa si basa su criteri di carattere oggettivo e soggettivo:
– Da un punto di vista oggettivo, sono coinvolte le cessioni di beni e prodotti finiti, materie prime, beni immateriali o le prestazioni di servizi in genere (consulenze finanziarie o strategiche, management fees, concessione di diritti per opere dell’ingegno, etc.).
– Da un punto di vista soggettivo, vengono coinvolte le sole operazioni commerciali che intercorrono tra una o più imprese residenti in Italia o all’estero che, direttamente o indirettamente, controllano l’impresa italiana, ne sono controllate oppure sono controllate dalla stessa controllante dell’impresa italiana.
Tuttavia la nozione di controllo adottata per questa disciplina è più ampia di quella prevista nell’art. 2359 del cod. civ.
Ed è la stessa Circolare n.32/1980, già citata, a fornire alcuni criteri attraverso i quali definire questo allargamento del concetto di controllo, che ricomprende al suo interno una nozione più generale di influenza economica:
– La vendita esclusiva, da parte di un’impresa, di prodotti fabbricati dall’atra impresa;
– L’impossibilità di funzionamento di un’impresa senza i capitali, i prodotti e la cooperazione dell’altra impresa;
– Il diritto di nomina degli amministratori di un’impresa da parte dell’altra;
– L’esistenza di relazioni di famiglia tra le parti;
– La concessione di ingenti crediti o la prevalente dipendenza finanziaria;
– La partecipazione da parte delle imprese a centrali di approvvigionamento o di vendita;
– La partecipazione delle imprese a cartelli e consorzi, in particolare se finalizzati al controllo dei prezzi;
– Il controllo degli approvvigionamenti o degli sbocchi commerciali;
– Una serie di contratti che modellino una situazione monopolistica;
– Tutte le altre ipotesi in cui venga esercitata potenzialmente e attualmente un’influenza sulle decisioni imprenditoriali di un soggetto su un altro.
Appare a tutti evidente che qualsiasi holding di famiglia potrà ritrovarsi in uno o più di questi criteri e persino quando dovesse mancare un controllo in senso stretto su talune società del gruppo.
Accertata la piena applicabilità di tale normativa al nostro caso, possiamo entrare nei dettagli operativi imposti dalla normativa; dettagli che sono stati recentemente rivisti con la normativa entrata in vigore nel 2020.
Si era già accennato in precedenza in merito alla necessità di documentare la congruità dei prezzi di trasferimento di beni e servizi tra le società appartenenti al gruppo. L’OCSE ha a suo tempo dedicato un intero capitolo delle sue linee guida all’argomento (il quinto, per la precisione) e si è persino premurata di ammonire gli stati membri dalla tentazione di dettare regole troppo rigide e inapplicabili concretamente. Tuttavia, ciò non le ha impedito di dettare un contenuto minimo che questa documentazione dovrebbe rispettare:
– Le caratteristiche dell’attività esercitata e la struttura organizzativa delle imprese appartenenti al gruppo, oltre ai relativi rapporti di proprietà e di controllo;
– Le funzioni assolte e i rischi assunti dalle diverse parti di ciascuna transazione;
– La tipologia di operazioni effettuate, il relativo oggetto e le condizioni applicate;
– L’andamento delle vendite e dei margini di profitto nel corso degli esercizi, nonché i flussi finanziari all’interno del gruppo;
– Le condizioni adottate nelle transazioni, similari a quelle infragruppo, con soggetti indipendenti;
– Le metodologie utilizzate per la determinazione dei prezzi di trasferimento;
– Le circostanze che hanno, se del caso, influito sull’applicazione del principio di valore di concorrenza e i processi di negoziazione a tali fine posti in essere.
In ambito italiano, tale codice di condotta è stato sostanzialmente recepito nelle disposizioni previste dall’art. 26 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010 nr. 122.
La documentazione e i suoi criteri di redazione non venivano con questa legge imposti come obbligatori ma venivano presentati come un incentivo a documentare al fine di meglio poter difendere le proprie ragioni in un eventuale contenzioso con l’Amministrazione finanziaria.
Anche l’Ade ha emanato una Circolare applicativa tramite un provvedimento del Direttore della stessa del 29 settembre 2010.
Il 23 novembre 2020 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato nuove disposizioni ufficiali (“Provvedimento”) per la predisposizione della Documentazione sui prezzi di trasferimento in Italia, sostituendo le indicazioni del provvedimento del 29 settembre 2010.
Qualunque sia la scelta della holding di famiglia italiana e cioè quella di usufruire o meno del regime della penalty protection appena descritto, appare evidente che si deve porre particolare attenzione nel fissare i prezzi delle transazioni infragruppo a livello dei prezzi di mercato. Il che comporta almeno una sia pur sommaria analisi delle condizioni di mercato vigenti al momento della stipula del contratto, documentando la ricerca di offerte alternative a fornitori esterni per il medesimo servizio.
Che si utilizzi o meno la documentazione consigliata dalla normativa, almeno questa precauzione appare praticamente obbligata.
Inutile dire che nel quadro appena descritto la decisione di forzare il livello dei prezzi al fine di porre in essere costruzioni artificiose di qualunque genere appare ingenua ed è sconsigliata in ogni caso. Peraltro, si corre il rischio, così facendo, di mandare all’aria una buona parte dei vantaggi legati alla costituzione ed attivazione di una holding dinamica.
Una volta accertata la misura degli spazi operativi della holding nel momento in cui da piena concretezza alla sua azione di coordinamento dinamico nei confronti delle controllate, possiamo finalmente entrare nel merito dei possibili strumenti e dei correlati servizi che concretamente possono essere messi a disposizione da una holding di famiglia.
Appare evidente che lo spazio di manovra risulta di molto inferiore a quello normalmente concesso alle holding dei grandi gruppi, siano essi nazionali come internazionali.
Scolasticamente, si menziona sempre il cash pooling. Tuttavia tale strumento appare abbastanza pretenzioso nel nostro ambito. Ragion per cui non lo esamineremo.
I primi strumenti che si possono davvero e concretamente utilizzare nell’ambito dio nostro più diretto interesse sono quelli dei contratti di consulenza a contenuto variabile. Potrebbe trattarsi di consulenza di tipo gestionale, amministrativa e contabile. Si potrebbe ipotizzare di delegare alla holding la gestione del marketing di gruppo, come anche l’approvvigionamento di alcuni beni e servizi. Per rendere economica e non priva di senso imprenditoriale l’operazione, si potrebbe pensare di costituire una rete di imprese, cui la holding partecipa in misura paritaria, con altre imprese/gruppi che esercitano l’attività sanitaria, allo scopo di reperire beni e servizi a prezzi più bassi di quelli normalmente riservati alla srl di gestione di un ambulatorio e quindi, in ultima analisi, di beneficiare del miglioramento delle condizioni legato all’appartenenza ad una rete di imprese o ad un consorzio di acquisto con operatori esterni all’ambito familiare del titolare effettivo del gruppo.
Naturalmente, tanto più è grande il numero di società operative presenti nel gruppo, tanto più sarà agevole trovare il modo di riempire questa tipologia di contratti di servizi più o meno articolati e vantaggiosi.
Le tipologie di contratti che possono intercorrere tra una holding e le sue controllate sono potenzialmente innumerevoli.
A parte consulenze e finanziamenti diretti, la holding può ovviamente farsi garante di un debito della controllata a vario titolo e con diverse forme contrattuali, fideiussioni, lettere di patronage, contratti di garanzia finanziaria.
Si deve tenere presente che negli ultimi decenni, anche per effetto della crescente contaminazione con gli istituti della Common Law, è enormemente cresciuto, soprattutto in ambito aziendale, il numero di contratti atipici di cui sempre più frequentemente si ricorre al fine di disciplinare diverse forme di collaborazione tra imprese. Ovviamente, non tutte queste forme sono abbordabili per le holding di famiglia, ma ce ne sono anche diverse che sono per lei pienamente applicabili.
Insomma, quello che si vuole dire è che tramite diversi contratti tipici e atipici possiamo declinare diverse opzioni esperibili anche per la holding di famiglia.
Nell’ambito dei contratti di godimento temporaneo di beni, è possibile utilizzare oltre ai classici (locazione, affitto di azienda, affitto di area attrezzata) anche i contratti di noleggio, di leasing, il comodato, l’usufrutto e il coworking (quest’ultimo è un contratto che si utilizza quando diverse imprese condividono spazi comuni, lavorano all’interno di uno stesso immobile, etc.).
Nell’ambito dei contratti di distribuzione commerciale possiamo annoverare sicuramente il franchising e il contratto di procacciamento d’affari.
Nulla esclude che un professionista sanitario possa pensare di allargare l’ambito della propria operatività costruendo una rete in franchising, magari coinvolgendo altri giovani professionisti desiderosi di trovare una soluzione capital free per l’avvio di una attività in proprio. Un contratto di procacciamento di affari potrebbe avere senso quando il titolare del gruppo volesse caricarsi l’onere di spuntare condizioni favorevoli per l’approvvigionamento di beni e servizi a beneficio proprio e di terzi.
Nello stesso tipo di operazione possono poi rientrare anche contratti di promozione di attività aziendali e di prodotti, quelli di pubblicità e di sponsorizzazione.
Quanto allo sfruttamento della proprietà industriale possiamo sicuramente citare il contratto di cessione di marchio o brevetto o la concessione in uso degli stessi come anche i contratti di sfruttamento di opere multimediali e delle banche dati.
Abbiamo poi tutto l’ambito dei contratti di collaborazione tra imprese, quali l’associazione in partecipazione, associazione temporanea tra imprese, il consorzio, le joint venture e i contratti di rete.
Il limite alle possibilità di contrarre sono dettati evidentemente solo dalle concrete possibilità economiche e dai volumi che caratterizzano il singolo business. Ovviamente, non si potrà pretendere di partire subito con una articolazione troppo estesa di tali rapporti contrattuali, anche perché non ve ne è alcun bisogno. Si può anche partire da un contenuto minimo della stessa, soprattutto in ragione del fatto che tale contenuto è quello che giustifica il ruolo dinamico della holding e tutti i correlati vantaggi che ne conseguono e che abbiamo già illustrato a più riprese in altri articoli dedicati.
Diamo una pur sommaria descrizione di alcune fattispecie contrattuali che potrebbero essere utilizzate da una holding di famiglia.
Una prima tipologia potrebbe essere quella che vede la holding nel ruolo di garante per i finanziamenti richiesti dalle controllate.
E’ chiaro che la forza di queste garanzie dipende anche dalla dimensione patrimoniale che assume la holding nel caso specifico.
Tralasciando l’analisi della fideiussione, potremmo esaminare direttamente il caso delle lettere di patronage.
Si tratta di una forma di garanzia che può essere modellata in varie forme, da quella puramente informativa a quelle di vera e propria garanzia.
Lo studio delle soluzioni possibili e la concreta attività di scelta e redazione della o delle formule contrattuali più indicate nel caso specifico deve necessariamente trovare una opportuna collocazione in un rapporto di consulenza personalizzata con legali o altri esperti dell’ambito aziendale.
Quello che è importante è far comprendere l’assoluta preminenza di questa articolazione e anche le opportunità di sviluppo che sono intimamente legate alla sua implementazione.
In questo senso, la holding di famiglia e il gruppo societario possono rappresentare non tanto e non solo uno strumento di pianificazione e ottimizzazione fiscale o successoria o uno strumento più evoluto per la tutela patrimoniale. Quanto e soprattutto una occasione per una ulteriore evoluzione verso una dimensione più articolata e soddisfacente dello sviluppo imprenditoriale, con risvolti positivi che vanno sia a beneficio del socio fondatore come anche della sua famiglia e che possano fornire l’occasione per lo sviluppo di ulteriori rami di business anche con la partecipazione ad altre iniziative esterne alla compagine strettamente familiare attraverso uno strumento efficace, malleabile e flessibile quale è sicuramente la holding.
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