Qualcuno ricorderà certamente che nell’articolo Casi semplici di convenienza fiscale della srl avevo introdotto come discrimine la deducibilità dei compensi ai familiari e, segnatamente, della moglie […]
Qualcuno ricorderà certamente che nell’articolo Casi semplici di convenienza fiscale della srl avevo introdotto come discrimine la deducibilità dei compensi ai familiari e, segnatamente, della moglie del dentista.
So che ci sono anche quelli che disconoscono tale deducibilità ai noti fini, e non a caso in quell’articolo avevo posto l’esempio in un caso particolare, quello che non prevedeva l’unipersonalità della srl.
Lo scopo di questo articolo è di spiegare uno dei motivi per cui tale convenienza è più rara da trovare sotto quel limite, in particolare facendo riferimento proprio all’elemento rappresentato dalla deducibilità dello stipendio del coniuge. E anche, secondariamente, quello di illustrare le eventuali criticità di tale opzione in alcuni casi.
La disciplina della deducibilità dei compensi corrisposti ai familiari da parte di un lavoratore autonomo è contenuta nell’art. 54, co. 6- bis del TUIR, il quale recita:
Non sono ammesse deduzioni per i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori d’età e permanentemente inabili al lavoro, nonché ascendenti dell’artista o professionista ovvero dei soci o associati per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti dell’artista o professionista ovvero della società o associazione. I redditi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti.
L’articolo in esame non nomina espressamente la parola familiari ma elenca quei familiari del professionista nei confronti dei quali vige l’indeducibilità dei compensi versati e cioè: coniuge; ascendenti; figli minori d’età o permanentemente inabili al lavoro.
Rientrano nell’ambito di applicazione dell’indeducibilità soltanto le prestazioni rese dai familiari elencati dall’art. 54, comma 6- bis TUIR in virtù di rapporti di lavoro dipendente subordinato e parasubordinato, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nonché, occasionale, come si evince anche dal riferimento al “lavoro prestato” (tipico del lavoro dipendente) ed alla “opera svolta” (espressione utilizzata con riferimento ai predetti rapporti di collaborazione).
Di conseguenza la norma non si applica ai compensi erogati dai professionisti ai propri familiari titolari di partita IVA, per prestazioni di lavoro autonomo, artistico o professionale, in quanto attività svolte autonomamente e non rientranti nelle locuzioni “lavoro prestato” e “opera svolta” utilizzate dal legislatore (Circolare Ministeriale n. 25/E/1997).
Sono in ogni caso deducibili i compensi corrisposti dal professionista ai familiari non ricompresi nella specifica elencazione del citato art. 54, comma 6-bis TUIR e cioè: figli maggiorenni abili al lavoro; altri discendenti (es. nipoti); parenti (es. fratelli, cugini, zii); affini (es. cognati, nuore, suoceri, generi).
Partendo dalla constatazione che, così come chiarito dalla Circolare Ministeriale n. 137/E/1997, l’indeducibilità sancita dal citato art. 54, comma 6- bis del TUIR va riferita esclusivamente alla determinazione del reddito di lavoro autonomo da assoggettare ad imposizione ai fini dell’IRPEF e quindi non può certamente applicarsi ai soggetti IRES, e quindi anche alle società di capitale, ma solo a quelle di persone, si possono desumere alcune importanti precisazioni alla normativa indicata:
Quindi, lo stipendio della moglie non è deducibile dai redditi del dentista, ma la stessa moglie su quei redditi non ci paga le imposte sul reddito. A differenza di quanto accadrebbe nella srl, dove a fronte della deduzione per la società, c’è anche l’assoggettamento a tassazione di quei redditi in capo alla moglie.
Risulta ora evidente che se l’utile del professionista è basso (inferiore o molto inferiore ai 80.000 €) i conti cambiano e di parecchio, perché la sua aliquota marginale si avvicina molto di più a quella a cui viene assoggettato il coniuge. Questa e altre condizioni rendono dunque il passaggio alla srl non più conveniente.
Facciamo ora un ulteriore passo avanti, prendendo in considerazione anche la disciplina della deduzione dei compensi di lavoro dipendente del coniuge nel caso dell’impresa individuale. E’ un passaggio importante, che ci serve a capire meglio le conclusioni.
La disciplina della deducibilità dei compensi corrisposti ai familiari da parte di un imprenditore individuale è contenuta nell’art. 60 del TUIR, il quale recita:
Non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati, minori d’età e permanentemente inabili al lavoro e degli ascendenti, nonché dei familiari partecipanti all’impresa di cui al comma 4 dell’articolo 5.
I compensi erogati ai familiari dall’imprenditore individuali soggiacciono quindi ad una disciplina speculare a quella relativa ai lavoratori autonomi , per cui rimando alle considerazioni già effettuate nel caso precedente.
Un’importante casistica che riguarda solamente l’imprenditore individuale e che presenta alcune interessanti peculiarità rispetto al caso del lavoratore autonomo è invece quella relativa all’impresa familiare, disciplinata ai fini fiscali dall’art. 5, comma 4 del TUIR.
Risulta utile ricordare che nel caso di impresa familiare il reddito dell’imprenditore può essere imputato, a specifiche condizioni stabilite dall’art. 5, comma 4 TUIR, nella misura massima del 49 % ai familiari che collaborano nell’impresa, in proporzione alle quote di partecipazione agli utili a loro riconosciute.
Faccio osservare di passaggio che, se questa disciplina fosse applicabile anche al caso del lavoratore autonomo – cosa che sarebbe possibilissimo fare se solo lo si volesse –, avremmo risolto molti problemi, con un sistema di tassazione sul nucleo familiare alla francese, molto più equo di quello attuale. E qui quando parlate di un Legislatore e di una Politica nemica, avete pienamente ragione.
Tuttavia, devo anche far osservare che, in presenza di una impresa familiare, i compensi erogati dall’imprenditore al collaboratore familiare per il lavoro o l’opera prestata nell’impresa sono comunque indeducibili; e in questo caso a tali fini si intendono per familiari: coniuge; parenti entro il terzo grado (es. figli, genitori, fratelli, zii); affini entro il secondo grado (es. suoceri, cognati).
Quindi, il campo di applicazione dell’indeducibilità viene di molto ampliato se si è in presenza di un’impresa familiare rispetto alle “normali” ipotesi di indeducibilità che coinvolgono solamente, come già visto, i compensi erogati a coniuge, ascendenti e figli minori o permanentemente inabili al lavoro.
Queste regole impattano anche sui soggetti societari.
E in particolare sulle società di persone commerciali ( snc e sas ) per due motivi: sono anch’esse assoggettate ad IRPEF, sia pur per trasparenza sui soci; non hanno una personalità giuridica distinta da quella dei soci, perlomeno non nella stessa misura che attiene alle società di capitali.
La srl quindi, se assume un familiare e in particolare la moglie, non incontra alcun tipo di problema nel dedurne il relativo costo pieno (stipendio, tfr e contributi).
Ma va anche detto che questo è vero con alcune limitazioni. Intanto, la srl non deve assumere caratteristiche troppo assimilabili all’impresa familiare.
E’ chiaro che se parliamo di una srl unipersonale, dove il socio unico è anche amministratore ( oltre che DS ), lo schermo societario appare, in re ipsa, apparente. E quindi l’Ade – e l’INPS ancor prima – hanno buon gioco nel contestare la deducibilità e l’ammissibilità.
Già nel caso di due soci la questione appare tutt’altro che scontata.
I problemi possono poi derivare anche dall’INPS, che già nel 1989 aveva emanato una Circolare in cui, almeno per quanto riguarda il lavoro autonomo (e i redditi della srl sono sempre e sono configurati come redditi d’impresa per l’attività tipica) esprimeva la presunzione di gratuità dei redditi di lavoro del coniuge non solo quando gli stessi sono erogati dal lavoratore autonomo professionista, ma anche quando il rapporto di coniugio sussiste in una società di persone e di capitali col il socio di maggioranza e amministratore.
E’ chiaro che il rapporto di lavoro non è apparente; se esistono tutte le caratteristiche del rapporto di subordinazione e se il lavoro è remunerato a cadenze regolari in maniera comprovabile, anche l’INPS non può opporre una presunzione di gratuità come nel caso del lavoratore autonomo, per il semplice fatto che il dipendente risulta assunto dalla società, che è una persona giuridica ben distinta dalle persone fisiche soci, e quindi, sia pur in un’ottica di valutazione caso per caso, l’onerosità del rapporto di lavoro e la sua ammissibilità possono benissimo imporsi (vedi al primo link in calce all’articolo).
Quanto all’Ade, cito una sentenza molto interessante, che ha dichiarato – sia pur con effetti limitati alle parti in Giudizio – l’art. 54 comma 6 bis quale implicitamente abrogato – limitatamente all’indeducibilità dello stipendio del coniuge – dall’entrata in vigore della Legge sulle coppie di fatto (vedi il secondo link in calce all’articolo).
Direi che possiamo concludere la questione con le seguenti affermazioni:
Approfondimenti
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