Il recente protocollo tra ANDI e il Ministero per la Famiglia assegna ai dentisti un nuovo ruolo nella lotta alla violenza di genere, ma solleva molte perplessità. Senza risorse economiche, con formazione incerta e senza un protocollo operativo chiaro, questa iniziativa rischia di trasformarsi in un onere eccessivo per gli odontoiatri, senza reali benefici per le vittime. Nell’editoriale analizziamo le criticità dell’accordo e proponiamo soluzioni per renderlo più efficace.
La lotta contro la violenza di genere è un tema di primaria importanza, che merita attenzione, risorse e strategie efficaci. Tuttavia, l’accordo recentemente siglato tra il Ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità e l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani (ANDI) solleva più di una perplessità.
Pur partendo da un presupposto condivisibile – sensibilizzare i dentisti sul tema della violenza di genere e renderli capaci di riconoscere eventuali segnali di abuso – il protocollo rischia di tradursi in un’iniziativa più simbolica che realmente efficace.
[protocollo-dpo-andi_signed : il testo integrale dell’accordo]
Uno dei punti più critici di questo accordo è l’attribuzione ai dentisti di un ruolo che appare a metà strada tra quello del medico e quello dell’assistente sociale. L’idea che un odontoiatra possa farsi “sentinella” della violenza domestica è certamente suggestiva, ma si scontra con diversi ostacoli pratici e deontologici.
Cosa dovrebbe fare un dentista di fronte a una paziente con segni sospetti di violenza? Segnalare il caso? A chi? Con quali garanzie di riservatezza? Il protocollo menziona il rispetto della privacy, ma non fornisce linee guida chiare su come gestire situazioni delicate senza ledere il rapporto di fiducia medico-paziente o esporre il professionista a rischi legali.
L’accordo prevede un percorso di formazione per i dentisti, ma non è chiaro chi ne certifichi la qualità, quali siano i contenuti specifici e come verrà garantita un’effettiva preparazione alla gestione di questi casi.
Un corso FAD, per quanto ben strutturato, può davvero fornire le competenze necessarie per affrontare un tema così complesso? Senza un supporto strutturato da parte di esperti (psicologi, assistenti sociali, legali), il rischio è che la formazione rimanga superficiale e inapplicabile nella pratica quotidiana.
Un altro aspetto problematico riguarda l’assenza di risorse economiche dedicate. Il protocollo specifica che non sono previsti corrispettivi economici e che ogni parte dovrà sostenere autonomamente i costi delle iniziative previste.
Questo significa che i dentisti dovranno autofinanziare la loro formazione? Che non ci saranno fondi per campagne di sensibilizzazione efficaci? Senza un investimento concreto, questa iniziativa rischia di rimanere un’operazione di facciata, senza impatto reale sulla prevenzione e il contrasto alla violenza di genere.
I dentisti sono professionisti sanitari, non investigatori. Benché ciò che viene richiesto non sia un’attività inquirente, è comunque un supporto nel riconoscimento di segni di violenza (il che comporta indubbie responsabilità). Gli odontoiatri non dispongono degli strumenti necessari per determinare con certezza se un trauma sia il risultato di violenza domestica o di altre cause (incidenti, malattie, parafunzioni). Affidare loro il compito di “intercettare” casi di abuso senza un supporto adeguato significa esporli a un onere eccessivo, con il rischio di segnalazioni errate o, al contrario, di mancati interventi per timore di ripercussioni legali.
Inoltre, una simile impostazione potrebbe addirittura creare diffidenza nelle pazienti, che potrebbero sentirsi osservate e giudicate durante la visita odontoiatrica, riducendo la loro disponibilità a rivolgersi al dentista per problemi di salute orale.
Un altro interrogativo riguarda il processo decisionale che ha portato alla firma del protocollo: ANDI ha consultato i dentisti prima di assumere questo impegno?
Sarebbe stato opportuno coinvolgere “prima” la comunità odontoiatrica in un dibattito aperto, per valutare alternative più praticabili, come la creazione di una rete di supporto tra odontoiatri e professionisti esperti del settore sociale e legale.
La mancanza di un vero confronto lascia l’impressione di un accordo siglato più per finalità politiche che per una reale volontà di affrontare il problema in modo efficace.
Il contrasto alla violenza sulle donne è un obiettivo sacrosanto, ma deve essere affrontato con strumenti adeguati e una strategia efficace. Il protocollo ANDI, così com’è strutturato, appare più un’operazione di immagine che una soluzione concreta.
Per trasformarlo in un progetto realmente utile, sarebbe necessario:
Senza questi correttivi, il rischio è che questa iniziativa si traduca in un boomerang: un peso in più per i dentisti, una falsa sicurezza per le vittime e nessun impatto reale nella lotta alla violenza di genere.
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