Affrontiamo il tema della Srl odontoiatrica con soci legati da rapporto di
coniugio e l’
instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente con uno di essi.
A differenza che nel caso delle imprese familiari e delle società di persone, l’instaurazione di un rapporto di lavoro con il socio di minoranza, anche se coniuge di quello di maggioranza, non presenta le stesse problematiche e non si presume esercitato a titolo gratuito. La società di capitali è infatti una terza persona (persona giuridica) rispetto ai soci e il rapporto di lavoro è instaurato con essa e non con il socio di maggioranza.
Questo non significa che tale rapporto di lavoro possa essere instaurato sempre e comunque e che non vadano messe in atto opportune cautele.
Intanto è subito il caso di sottolineare che il socio di maggioranza non può avere anche e contemporaneamente un rapporto di lavoro dipendente con la società. Essendo appunto il dominus della società e avendo la possibilità di controllarla e determinarne praticamente ogni aspetto della gestione, non può anche essere in rapporto di subordinazione con essa e tantomeno essere assoggettato al suo potere direttivo, condicio sine qua non per poter legittimamente configurare un rapporto di lavoro dipendente.
Chiaro che tale socio di controllo potrà essere al limite un
amministratore o l’amministratore unico, percependo eventualmente
compensi che potranno essere inquadrati tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (se parliamo di un amministratore non professionista) o a quelli di lavoro autonomo (se parliamo di un amministratore professionista). In un caso come nell’altro, siamo comunque lontani da un rapporto di lavoro dipendente vero e proprio.
Il caso quindi più ricorrente è quello di una
Srl con marito odontoiatra e moglie socia di minoranza e dipendente.
Ebbene, se questo è il caso, la presunzione di gratuità del rapporto di lavoro non opera come nei casi precedenti.
Condizioni
Naturalmente sono necessarie per rendere valido questo rapporto delle precise condizioni:
- Il coniuge deve essere assunto per mansioni che è effettivamente in grado di svolgere e che siano diverse da quelle per il quale assume la qualifica di socio.
- Il rapporto deve essere oneroso per davvero, e quindi si deve eventualmente fornire la prova che siano stati pagati gli stipendi e i contributi.
- Il coniuge dipendente deve essere effettivamente in un rapporto di subordinazione gerarchica con l’azienda e il suo amministratore e deve rispettare l’orario di lavoro concordato. Chiaro che se viene fuori nel corso di una verifica che il dipendente ha la piena liberà di entrare e uscire dalla sede operativa della azienda quando e come vuole, senza prendere permessi e/o senza comunicare alcunché al proprio datore di lavoro, appare evidente che il rapporto in discussione è del tutto apparente.
Mi preme sottolineare che, come al solito, è importante precostituire i mezzi di prova di tale subordinazione e il rispetto delle tempistiche lavorative valide per qualunque dipendente. È di fondamentale importanza cioè che il
coniuge dipendente si comporti come qualunque altro dipendente dell’azienda e che ci sia una opportuna tracciabilità di ogni avvenimento che qualifica il rapporto di lavoro, compreso quello disciplinare.
Se ad esempio arrivano gli ispettori INPS e non trovano sul posto di lavoro il coniuge, deve risultare chiaramente che la stessa è in permesso perché ne ha fatto richiesta e l’ha ottenuto.
Come al solito, si può fare tutto ma sapendo come farlo e dove mettere le mani.
Quello che non si può fare è assumere la moglie – o il marito – per finta, al solo scopo di precostituire gli elementi per dedurre il suo stipendio e risparmiare sulle imposte in maniera fraudolenta.
Quindi, chi vi racconta che nella Srl assumere il coniuge porta agli stessi effetti che in altre forme imprenditoriali (impresa familiare o società di persone) o addirittura che nello studio professionale, vi racconta una emerita sciocchezza. E non si tratta né della prima e neanche dell’ultima che vi racconterà, per essere precisi. Perché delle due l’una: o è ignorante della materia oppure è in malafede.
Così è deciso, l’udienza è tolta.