Il mercato odontoiatrico italiano sta vivendo una trasformazione profonda, segnata dall’ingresso di capitali finanziari e dalla crescita delle catene odontoiatriche (DSO). Questo articolo analizza criticamente le conseguenze di questa evoluzione, mettendo a confronto rischi e opportunità per i professionisti. Particolare attenzione è dedicata al ruolo delle SRL odontoiatriche e delle reti di impresa, come la Rete Dentista Manager, che rappresentano una possibile via alternativa e sostenibile alla perdita di autonomia. Un’indagine sul presente per aiutare ogni dentista a decidere il proprio posto nel futuro — con o senza catene.
Negli ultimi anni, il mondo dell’odontoiatria italiana ha cominciato a somigliare sempre meno a quello che i professionisti hanno conosciuto fino a poco tempo fa. Studi storici, radicati nel territorio e costruiti sulla relazione fiduciaria con i pazienti, si trovano oggi a convivere con realtà ben diverse: centri dentistici su più sedi, gestione manageriale, investitori alle spalle, e un modello che punta alla scalabilità. Sono le cosiddette catene odontoiatriche — o, con un termine più tecnico e internazionale, DSO: Dental Service Organizations.
Questo fenomeno non è né nuovo né esclusivamente italiano. In Paesi come gli Stati Uniti, la Spagna o la Germania, la finanziarizzazione della sanità privata è un processo ampiamente in corso. Ma oggi anche in Italia il settore odontoiatrico sta diventando terreno fertile per l’ingresso del capitale finanziario, attratto da un comparto con alti margini, domanda crescente e ancora poco consolidato.
Nel frattempo, il contesto sanitario europeo evolve rapidamente. Secondo l’ultimo Rapporto OCSE (Health at a Glance), cresce la spesa sanitaria privata e aumentano le difficoltà di accesso al sistema pubblico. La popolazione invecchia, i professionisti scarseggiano, e la domanda di cure “accessibili” si impone con sempre più forza. È in questa tempesta perfetta che le DSO trovano il loro spazio: promettono tecnologia, efficienza, formazione, un miglior equilibrio vita-lavoro per i giovani dentisti. Ma a quale prezzo?
La domanda sorge spontanea — e volutamente provocatoria: “Finiremo tutti in catene?”
L’interrogativo, come spesso accade, ha un doppio significato. Da un lato, richiama il timore che i professionisti si ritrovino “incatenati” a modelli di lavoro standardizzati, dipendenti da logiche aziendali e compressi nella loro autonomia clinica. Dall’altro, richiama la natura stessa del fenomeno: il moltiplicarsi delle “catene odontoiatriche”, della sanità distribuita su larga scala, dei modelli replicabili guidati da fondi, investitori e advisor.
Questo articolo ha lo scopo di analizzare il fenomeno con sguardo critico ma documentato, integrando dati economici, report istituzionali e riflessioni di settore. Non per alimentare allarmismi, ma per offrire ai dentisti uno strumento di consapevolezza e una bussola per orientarsi nei prossimi dieci anni.
La domanda vera, in fondo, non è se le catene esisteranno, ma quale ruolo vogliamo avere dentro (o fuori) da esse.
Il crescente interesse dei fondi di investimento verso l’odontoiatria non è un’anomalia, ma la conseguenza logica di tendenze strutturali che emergono chiaramente anche dal rapporto OCSE 2024 “Health at a Glance: Europe”. Il documento fotografa una sanità europea attraversata da cambiamenti profondi, che contribuiscono a rendere il settore delle cure dentali particolarmente appetibile per il capitale privato.
Secondo l’OCSE, la spesa sanitaria out-of-pocket (a carico diretto dei cittadini) rappresenta oltre il 23% del totale in Italia, una delle percentuali più alte in Europa occidentale. Questo dato sale ulteriormente quando si considerano le prestazioni odontoiatriche, spesso escluse dai rimborsi pubblici. In un sistema dove il cittadino è già abituato a pagare le cure dentali di tasca propria, i margini per investitori e operatori privati diventano subito evidenti.
Il documento segnala inoltre che le spese odontoiatriche sono tra le prime a generare rinuncia alle cure, a causa dell’insufficienza della copertura pubblica e delle difficoltà economiche delle famiglie. In risposta, si affermano modelli che puntano a contenere i prezzi attraverso l’organizzazione industriale: standardizzazione dei protocolli, economie di scala e centralizzazione dei servizi. Tutti tratti distintivi delle DSO.
Il settore odontoiatrico italiano è ancora altamente frammentato, composto da decine di migliaia di studi individuali o associati, ciascuno con il proprio modello organizzativo, gestionale e clinico. Per il mondo finanziario, questa frammentazione rappresenta un’occasione: acquisire studi, aggregarli sotto un unico brand, omogeneizzare i processi, centralizzare la governance e il marketing.
Il report OCSE dedica ampio spazio alla necessità di rafforzare l’efficienza dei sistemi sanitari europei, anche attraverso una maggiore integrazione delle cure e una riorganizzazione dei servizi territoriali. In assenza di una regia pubblica solida, è il settore privato — e in particolare il capitale strutturato — ad avanzare verso questo spazio vacante.
C’è anche un altro dato chiave: la carenza di dentisti in alcune aree geografiche europee, dovuta sia al numero limitato di laureati che alla migrazione verso grandi centri urbani o Paesi con salari più competitivi. In Italia, si registra una crescente difficoltà nel coprire il fabbisogno territoriale, con impatti negativi soprattutto per le fasce più deboli della popolazione.
In questo contesto, le DSO si presentano come strutture capaci di garantire continuità di servizio, offrendo contratti stabili ai giovani professionisti, ambienti strutturati, supporto organizzativo e — in teoria — una maggiore sostenibilità nel lungo periodo.
OCSE 2024 evidenzia che oltre il 60% dei giovani medici e dentisti in Europa considera l’equilibrio vita-lavoro e la sicurezza contrattuale come fattori decisivi nella scelta della sede lavorativa.
Questo dato va letto come un’ulteriore conferma dell’attrattività delle DSO, capaci di offrire — almeno formalmente — risposte alle nuove esigenze di carriera, in un contesto dove lo studio indipendente richiede competenze gestionali sempre più complesse.
La combinazione di domanda sanitaria insoddisfatta, spesa privata strutturale, carenza di risorse umane e inefficienze sistemiche, tratteggiata dal documento OCSE, rende l’odontoiatria italiana una preda ideale per fondi di investimento e operatori di private equity. Ma se il capitale vede opportunità, la professione deve interrogarsi: si tratta di una reale evoluzione del sistema o di una scorciatoia industriale che rischia di svuotare la professione della sua identità?
Se ti interessa questo tema e vuoi approfondirlo, partecipa al prossimo Corso Economia e Controllo di Gestione dello studio dentistico. Puoi iscriverti online a questo link. Ti aspettiamo insieme al personale di studio o al tuo consulente commercialista.
Le Dental Service Organizations (DSO) rappresentano un modello organizzativo importato in Europa dagli Stati Uniti, dove è ormai consolidato da oltre vent’anni. L’idea alla base è semplice: separare la prestazione clinica, affidata al dentista, dalla gestione imprenditoriale e amministrativa, affidata a una struttura esterna, spesso controllata da fondi di investimento o holding multiservizio. In Italia, questo modello si sta diffondendo sotto forma di franchising, reti in affiliazione, strutture in multiproprietà o società veicolo che acquisiscono gli studi professionali.
Il rapporto OCSE 2024 non si sofferma esplicitamente sul fenomeno delle DSO, ma offre numerosi elementi per comprenderne l’ascesa. In particolare, viene sottolineato come le sfide sistemiche della sanità europea — scarsità di risorse, inefficienze gestionali, disomogeneità territoriale — aprano ampi spazi per attori privati in grado di introdurre modelli organizzativi replicabili, tecnologicamente avanzati e orientati al risultato.
Una DSO si distingue da uno studio tradizionale per tre elementi principali:
Governance centralizzata: decisioni strategiche, acquisti, marketing, risorse umane, tecnologia e controllo di gestione sono accentrati in una sede direzionale.
Standardizzazione dei protocolli: per garantire uniformità delle prestazioni e controllo dei margini, i protocolli clinici vengono definiti a monte e applicati in tutte le sedi.
Scalabilità e replicabilità: ogni nuovo studio aperto o acquisito rientra in una “catena” che ne replica l’organizzazione e il modello di business, riducendo i costi marginali e aumentando il valore percepito del gruppo.
Questo approccio risponde a molte delle inefficienze segnalate nel documento OCSE, dove si afferma che una gestione frammentata dei servizi sanitari comporta sprechi, difficoltà nel monitoraggio dei risultati e disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Il 2024 rappresenta un momento favorevole per l’espansione delle DSO in Italia, per una serie di fattori concomitanti:
Saturazione e stagnazione del modello tradizionale: molti studi odontoiatrici faticano a reggere i costi di gestione, i carichi fiscali e la crescente pressione commerciale.
Crisi generazionale: i giovani dentisti spesso non hanno accesso al credito o non vogliono assumersi il rischio di aprire uno studio. Le DSO offrono stipendi, percorsi di carriera, strumenti digitali e un apparente “porto sicuro”.
Spinta digitale e regolamentare: la sanità europea si sta digitalizzando (come indica il rapporto OCSE in più sezioni), ma questo processo richiede investimenti consistenti in hardware, software e formazione. Le singole strutture faticano ad adeguarsi; i gruppi, invece, possono distribuire il costo su più sedi.
Il documento OCSE segnala che il 45% delle strutture sanitarie private in Europa non ha ancora implementato strumenti di telemedicina o archiviazione elettronica centralizzata. Le DSO colmano questa lacuna con sistemi informativi unificati e interoperabili.
In sintesi, le catene odontoiatriche crescono perché offrono una risposta concreta alle criticità sistemiche segnalate nel report OCSE: carenza di capitale umano, inefficienze gestionali, domanda instabile e digitalizzazione insufficiente. Ma crescono anche perché intercettano i bisogni (e le paure) dei singoli professionisti: chi cerca stabilità, chi cerca supporto, chi non vuole più “combattere da solo”.
La vera domanda, però, è se questa risposta sia sostenibile per la qualità clinica, per il paziente e per la professione nel medio-lungo periodo.
L’ascesa delle DSO sta modificando in profondità non solo il panorama imprenditoriale dell’odontoiatria, ma anche il modo in cui i professionisti entrano, crescono e restano nel mercato del lavoro. Il cambiamento riguarda non solo i giovani neolaureati, ma anche gli odontoiatri esperti, gli igienisti dentali, gli ASO e persino le figure gestionali interne agli studi.
I dati riportati nel rapporto OCSE 2024 descrivono un quadro chiaro: in gran parte d’Europa, inclusa l’Italia, il settore sanitario è sotto pressione a causa della carenza di personale, della fuga dai territori periferici, dell’invecchiamento degli operatori e della scarsa attrattività del lavoro autonomo per le nuove generazioni.
Per decenni, l’odontoiatria italiana è stata esercitata da liberi professionisti che costruivano il proprio studio come estensione della propria identità clinica. Oggi questo modello mostra segni di cedimento: oneri gestionali elevati, fiscalità complessa, difficoltà nel delegare e nel digitalizzarsi. Le DSO si presentano, per molti, come un’alternativa pragmatica.
Secondo l’OCSE, oltre il 40% dei giovani medici e dentisti sotto i 35 anni considera l’“equilibrio tra vita e lavoro” più importante della possibilità di aprire uno studio proprio.
Il modello della DSO promette turni definiti, remunerazione certa, aggiornamento professionale e nessuna incombenza amministrativa. A fronte di ciò, però, l’autonomia clinica è spesso parzialmente sacrificata, vincolata a protocolli standard, tempistiche predefinite, obiettivi di produttività.
Le grandi catene odontoiatriche offrono contratti di collaborazione, ma in molti casi la natura del rapporto di lavoro si avvicina a quella subordinata, soprattutto per i collaboratori che lavorano in esclusiva per una DSO. Anche se formalmente liberi professionisti, questi operatori dipendono dal flusso di pazienti generato dalla centrale marketing, dai sistemi gestionali interni, dalle linee guida cliniche imposte dall’alto.
Questo approccio, pur garantendo una certa stabilità economica, può portare a una demotivazione latente nei professionisti più esperti, e alla riduzione dell’innovazione clinica individuale. L’OCSE, pur non affrontando direttamente questo tema, sottolinea come il benessere lavorativo del personale sanitario sia un indicatore predittivo della qualità dell’assistenza: un professionista poco coinvolto o sotto stress produce inevitabilmente risultati peggiori per il paziente.
L’impatto delle DSO si fa sentire anche sulle figure non odontoiatriche. Igienisti, ASO, receptionist e manager clinici si trovano ad affrontare una nuova realtà:
Centralizzazione delle funzioni: molte attività gestionali (agenda, richiami, marketing) vengono svolte da sedi centrali, con una riduzione dell’autonomia dello studio locale.
Valutazione per KPI: la performance del singolo collaboratore è spesso tracciata, misurata e confrontata su base numerica, secondo una logica aziendale mutuata da altri settori.
Turnazione e mobilità: la flessibilità richiesta ai dipendenti delle catene odontoiatriche può implicare mobilità tra sedi, variazioni di orario e maggiore adattabilità.
La crescita delle DSO offre una porta d’ingresso agevole e strutturata al mercato del lavoro, soprattutto per i neolaureati. Ma rischia anche di trasformare il professionista sanitario in un operatore esecutivo, svuotato della sua iniziativa clinica e imprenditoriale.
Il rapporto OCSE non prende posizione, ma segnala con chiarezza che la soddisfazione professionale e la libertà decisionale sono elementi centrali per la qualità della cura e la tenuta del sistema sanitario nel lungo termine. L’odontoiatria non fa eccezione.
Se ti interessa questo tema e vuoi approfondirlo, partecipa al prossimo Corso Economia e Controllo di Gestione dello studio dentistico. Puoi iscriverti online a questo link. Ti aspettiamo insieme al personale di studio o al tuo consulente commercialista.
Uno degli effetti più visibili — ma spesso meno analizzati — della diffusione delle catene odontoiatriche è il cambiamento del rapporto tra paziente e professionista. Se lo studio odontoiatrico tradizionale si fondava sulla fiducia, sulla continuità e sulla relazione personale, il modello delle catene punta su altri elementi: accessibilità economica, visibilità del brand, velocità di risposta e customer experience standardizzata.
Secondo il rapporto OCSE 2024, uno dei principali ostacoli all’accesso alle cure dentali in Europa è l’eccessivo costo percepito da parte dei cittadini. In Italia, quasi il 6% della popolazione ha rinunciato almeno una volta alle cure odontoiatriche per motivi economici. Questo crea le condizioni per l’affermazione di operatori capaci di proporre prezzi calmierati e piani di pagamento diluiti, grazie all’efficienza organizzativa e al supporto del capitale.
OCSE 2024 segnala che i cittadini con basso reddito sono fino a 4 volte più propensi a rinunciare alle cure dentali rispetto ai redditi medio-alti.
Le DSO promettono — e spesso mantengono — un’offerta economicamente più accessibile. Questo però si ottiene attraverso una forte standardizzazione dei protocolli clinici, l’uso intensivo di software gestionali e l’ottimizzazione spinta del tempo di poltrona. Il risultato è che, pur in presenza di una maggiore accessibilità, il paziente viene trattato in modo sempre più impersonale, come cliente più che come persona.
In alcuni casi, questo modello può comportare una riduzione della qualità percepita, soprattutto nei trattamenti complessi o nei casi che richiedono continuità assistenziale. Il paziente viene seguito da team diversi, talvolta in sedi differenti, con un’attenzione limitata al follow-up relazionale.
Nelle DSO, il paziente viene attratto non tanto dal nome del singolo dentista, quanto da un marchio riconoscibile, da una campagna marketing mirata o dalla promessa di un servizio veloce e conveniente. È un modello simile a quello del retail, dove si sceglie un supermercato o una catena di hotel sulla base di reputazione, convenienza e accessibilità.
Questa trasformazione, se da un lato semplifica la scelta del paziente e riduce l’asimmetria informativa, dall’altro cancella progressivamente il rapporto fiduciario diretto, trasformando l’esperienza di cura in un processo di consumo sanitario.
Secondo l’OCSE, l’efficacia dei sistemi sanitari nel lungo termine si misura anche sulla base della continuità assistenziale e della personalizzazione delle cure, due aspetti oggi messi a rischio nei modelli iperstandardizzati.
Le DSO sono spesso dotate di sistemi informativi avanzati: reminder automatici, app per il paziente, cartelle cliniche condivise tra sedi, teleassistenza. Questo può migliorare l’aderenza al piano di cura e l’esperienza del paziente, rendendo il servizio più fluido. Ma crea anche un lock-in informativo, in cui il paziente non è più fedele al professionista, ma al sistema.
Se il paziente viene fidelizzato tramite app, sconti, marketing relazionale e gestione dei dati sanitari centralizzata, il dentista indipendente rischia di diventare intercambiabile, esattamente come il farmacista di una grande catena.
Il documento OCSE, pur elogiando gli strumenti tecnologici e organizzativi in sanità, mette in guardia da modelli che privilegiano l’efficienza a scapito della relazione terapeutica. Le DSO, nel loro tentativo di democratizzare l’accesso alle cure, rischiano di appiattire l’esperienza clinica, riducendo la cura a una prestazione vendibile e misurabile.
La sfida per i professionisti indipendenti, e ancor più per le SRL odontoiatriche, è quella di riappropriarsi della relazione col paziente attraverso strumenti nuovi: qualità, prossimità, trasparenza, cultura della prevenzione. Solo così sarà possibile offrire un’alternativa credibile e sostenibile al modello delle catene.
Nell’attuale scenario, dominato dalla progressiva affermazione delle catene odontoiatriche e dalla finanziarizzazione dell’offerta sanitaria, il dentista che opera ancora in forma individuale si trova spesso in una posizione di fragilità crescente. Non si tratta solo di una debolezza economica o organizzativa, ma anche — e soprattutto — di una distanza culturale rispetto alle logiche che oggi guidano il mercato. Tuttavia, c’è una parte della professione che ha già intrapreso un percorso evolutivo: i colleghi che hanno scelto di costituire una SRL odontoiatrica, trasformando lo studio in una vera e propria impresa.
In questo nuovo contesto, la SRL odontoiatrica rappresenta un soggetto strategicamente più forte e decisamente più attrezzato per affrontare il confronto con le grandi organizzazioni. Le DSO, pur essendo strutture complesse e articolate, si muovono pur sempre entro logiche d’impresa: parlano la lingua dei bilanci, dei contratti, della pianificazione fiscale, dei margini operativi e della scalabilità. Ecco perché una SRL, a differenza del singolo professionista, può dialogare con la DSO da pari a pari. È un soggetto economico omogeneo, capace di comprendere — e talvolta anche condividere — obiettivi e priorità. Questo vale sia in un’ottica di collaborazione, sia — eventualmente — in un processo di fusione o acquisizione: quando due soggetti si assomigliano per forma, cultura e struttura, è più facile che trovino un terreno negoziale comune.
Il vantaggio competitivo della SRL non si esaurisce però nella sua capacità di negoziare. Diventare impresa significa anche poter scegliere: scegliere se aprire al capitale esterno, oppure rimanere indipendenti ma con strumenti manageriali evoluti. Significa poter valutare con lucidità le proposte che arrivano, senza subirle. E soprattutto significa valorizzare il proprio lavoro nel tempo, trasformando lo studio da luogo operativo a entità patrimoniale, da professione a progetto imprenditoriale.
Non va dimenticato che, oltre a difendersi, le SRL possono anche costruire alleanze tra pari. Negli ultimi anni, alcune realtà hanno dato vita a reti di studi organizzati sotto forma societaria, che condividono protocolli, strumenti e visione, pur mantenendo la propria autonomia. In questo modo si ottiene ciò che spesso solo le DSO sono in grado di offrire — ovvero efficienza, potere contrattuale, coordinamento — senza però rinunciare alla propria identità professionale.
Il rapporto OCSE 2024, pur non entrando nel merito delle forme giuridiche adottate dagli operatori sanitari, insiste molto sull’urgenza di rafforzare la capacità organizzativa del settore, attraverso strumenti digitali, formazione manageriale e nuove logiche di governance. La SRL odontoiatrica, in questo senso, non è solo una reazione difensiva, ma un percorso di maturazione della professione, una risposta concreta alla complessità del presente.
In definitiva, se è vero che le catene stanno crescendo, è altrettanto vero che non tutti finiranno in catene. C’è chi, dotandosi degli strumenti giusti, saprà scegliere se integrarsi, distinguersi o allearsi. E forse, in un futuro prossimo, saranno proprio le SRL a rappresentare l’anello evolutivo intermedio tra il dentista artigiano e la sanità organizzata. Un anello non debole, ma consapevole.
Se ti interessa questo tema e vuoi approfondirlo, partecipa al prossimo Corso Economia e Controllo di Gestione dello studio dentistico. Puoi iscriverti online a questo link. Ti aspettiamo insieme al personale di studio o al tuo consulente commercialista.
Se da una parte le DSO rappresentano un modello organizzativo efficiente, capace di rispondere alle esigenze del mercato attraverso centralizzazione e controllo, dall’altra impongono spesso una perdita di autonomia clinica e gestionale. È su questo crinale che si apre lo spazio per forme evolute di aggregazione tra professionisti, capaci di coniugare i vantaggi della dimensione organizzata con la libertà tipica del lavoro autonomo.
La Rete di Imprese è, da questo punto di vista, uno strumento giuridico e operativo potente ma ancora poco conosciuto in ambito odontoiatrico. A differenza delle catene odontoiatriche, che prevedono una proprietà centralizzata e una governance unificata, la rete consente a più studi — ognuno con la propria identità e struttura — di collaborare in modo stabile, condividendo servizi, risorse, know-how, strumenti digitali e obiettivi comuni, senza rinunciare alla propria autonomia né al proprio stile professionale.
Un esempio concreto e già operativo è quello della Rete Dentista Manager, che rappresenta forse la forma più matura di DSO professionale attualmente disponibile in Italia. A differenza dei modelli finanziarizzati, qui non c’è un fondo che detta regole dall’alto, né una struttura che impone protocolli standardizzati per ragioni di efficienza. La Rete si fonda su un principio inverso: sono i dentisti a organizzarsi per affrontare insieme le sfide della complessità, mettendo in comune ciò che conta — strumenti di controllo di gestione, formazione, consulenze specialistiche, strumenti di compliance, marketing etico — ma mantenendo piena libertà clinica, gestionale e organizzativa.
In questo modo, ciascun aderente può accedere a benefici simili a quelli offerti dalle catene odontoiatriche: supporto organizzativo, efficienza nei costi, innovazione tecnologica, forza contrattuale, possibilità di collaborazioni strutturate, riduzione della asimmetria informativa. Ma lo fa senza dover cedere la titolarità dello studio, senza entrare in una logica aziendale impersonale e senza dover sacrificare la propria filosofia di cura.
Il valore aggiunto della Rete non è solo operativo. È anche culturale. Essa si fonda sulla condivisione di un’identità professionale forte, sulla convinzione che si possa essere imprenditori senza rinunciare all’etica, e che la modernizzazione della professione debba partire dai dentisti stessi, e non essere subita da soggetti esterni.
Alla luce di quanto descritto nel rapporto OCSE 2024, che sottolinea il bisogno crescente di efficienza, integrazione e governance evoluta nei sistemi sanitari europei, modelli come la Rete Dentista Manager rappresentano una terza via concreta e sostenibile. Né solitudine imprenditoriale né fusione in un’organizzazione verticale, ma collaborazione orizzontale tra pari, fondata su strumenti giuridici solidi, obiettivi comuni e una visione condivisa del futuro.
Se la domanda è come affrontare il futuro senza finire in catene, le reti professionali come questa sono una risposta concreta e già percorribile. Non un compromesso, ma un progetto.
Provare a immaginare cosa accadrà nei prossimi dieci anni nel settore odontoiatrico italiano è un esercizio tanto rischioso quanto necessario. Le forze in campo sono molteplici e in rapido movimento: da una parte la spinta dei capitali finanziari, l’efficienza dei modelli organizzati, la pressione dei costi e della domanda; dall’altra la tradizione della libera professione, la personalizzazione della cura, la resistenza di chi non intende rinunciare alla propria autonomia.
Guardando all’estero — e i dati del rapporto OCSE 2024 sono molto utili in tal senso — si nota come non esista un solo modello vincente. Negli Stati Uniti, le DSO sono ormai dominanti, sostenute da un sistema sanitario completamente privatizzato. In Spagna, il mercato si è polarizzato tra pochi grandi gruppi e migliaia di piccoli studi, con una forte pressione sui prezzi. In Germania, invece, si osserva una maggiore regolazione e una convivenza relativamente equilibrata tra studi indipendenti e reti organizzate. L’Italia, ancora una volta, si trova a un bivio.
Il primo scenario possibile è quello che molti temono: un dominio progressivo delle catene, con acquisizioni, fusioni, accorpamenti e una graduale marginalizzazione del dentista imprenditore solitario. Questo processo potrebbe essere accelerato da una generazione in uscita — quella dei professionisti oggi prossimi alla pensione — e da una generazione in entrata che, spesso, non è pronta o non desidera assumersi l’onere di avviare una propria struttura. In questo contesto, le catene odontoiatriche offrirebbero una risposta immediata e rassicurante, diventando — di fatto — il modello prevalente.
Un secondo scenario è quello della coesistenza tra modelli differenti. Qui, le DSO continuerebbero a espandersi, ma troverebbero un equilibrio con realtà indipendenti più evolute: SRL odontoiatriche ben gestite, studi associati con una forte identità territoriale, reti professionali orizzontali capaci di offrire qualità e prossimità. In questa ipotesi, sarebbe il mercato stesso a selezionare le soluzioni più efficaci, premiando non solo il prezzo ma anche il valore della relazione, della reputazione e della personalizzazione del servizio. Le politiche pubbliche, in questo scenario, avrebbero un ruolo fondamentale nel garantire una sana competizione e nel sostenere le forme imprenditoriali sostenibili.
Il terzo scenario è forse il più ambizioso, ma non per questo irrealistico. Si tratta della resilienza attiva della professione, in cui i dentisti non solo resistono al cambiamento, ma lo guidano. In questa visione, il passaggio a forme societarie, la formazione manageriale, l’adozione della tecnologia, l’aggregazione tra colleghi e la creazione di community professionali rappresentano strumenti di emancipazione, non di adattamento passivo. Le SRL non si oppongono alle DSO per principio, ma si affermano come modelli alternativi, più agili, meno burocratici, più vicini al paziente e più coerenti con l’etica clinica.
A ben vedere, nessuno di questi scenari esclude del tutto gli altri. È probabile che, almeno per un periodo, convivano dinamiche differenti, con territori in cui le catene si radicheranno più facilmente e altri in cui la professione saprà difendere con forza la propria autonomia. Ma in qualunque ipotesi, sarà determinante una cosa: la consapevolezza del professionista. Chi resta fermo, oggi, rischia davvero di finire in catene. Chi invece si attrezza, si forma, si organizza e si allea, potrà decidere se far parte del cambiamento o se costruire un modello differente, a misura d’uomo.
Come ci ricorda l’OCSE, la sanità del futuro avrà bisogno di professionisti competenti, ma anche di sistemi resilienti e innovativi. È il momento di scegliere da che parte stare. O, meglio, è il momento di decidere che tipo di professionisti vogliamo essere.
Se ti interessa questo tema e vuoi approfondirlo, partecipa al prossimo Corso Economia e Controllo di Gestione dello studio dentistico. Puoi iscriverti online a questo link. Ti aspettiamo insieme al personale di studio o al tuo consulente commercialista.
Il tuo carrello è vuoto.
Benvenuto su www.dentistamanager.it.
Ti preghiamo di prendere nota e rispettare le informazioni di seguito riportate che regolano l'utilizzo del nostro sito e dei materiali pubblicati e a cui sono soggetti i servizi forniti; l’accesso alle pagine del sito web implica l’accettazione delle seguenti condizioni.
Diritto d’autore
Tutto il materiale pubblicato sul sito ed il sito stesso, compresi testi, illustrazioni, fotografie, progetti, cataloghi, grafici, loghi, icone di pulsanti, immagini, clip audio, software, contenuti del blog, articoli di approfondimento, strutturazione dei corsi (in generale, il "Contenuto" del sito), è coperto da diritto d'autore.
La legislazione italiana ed internazionale in materia di diritti d'autore e marchi tutela il contenuto e il sito in generale.
La riproduzione dei materiali contenuti all'interno del sito, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, è vietata.
Sono consentite citazioni, purché accompagnate dalla citazione della fonte Dentista Manager S.r.l., compreso l'indirizzo www.dentistamanager.it
Sono consentiti i link da altri siti purché venga specificato che si tratta di link verso il sito www.dentistamanager.it