Nasce il consorzio di autotutela per Dentisti. Ci siamo resi conto che è necessario un ulteriore approfondimento sul tema.
Consorzio di autotutela per Dentisti denominato Dentist4.
Ma che bisogno c’era di una nuova associazione?
Si tratta solo di un’operazione di marketing o ha radici più profonde? È solo un movimento corporativo o rappresenta anche l’affermazione di un principio? In che modo si colloca nello scenario istituzionale e sociale del nostro Paese già così ricco di sigle sindacali e associative? Cosa c’è ancora di veramente nuovo da dire?
Il progetto Dentist4 significa molto di più di quello che appare.
L’affermazione di un principio contiene in sé motivazioni, conseguenze ed obiettivi, mescolando in modo variabile i nostri bisogni, la nostra visione del mondo e della professione e, da ultimo, una strategia originale per affrontare i problemi.
All’alba dello “Stato sociale” in Italia (primi decenni del ‘900) era evidente che lo Stato avrebbe dovuto farsi carico della tutela della salute pubblica, ivi compresa la tutela della salute orale. Ben presto fu altrettanto chiaro che tale obbligo istituzionale si profilava eccessivamente oneroso (già allora) per le risorse pubbliche ed estremamente difficile sul piano organizzativo, in ragione dell’estensione territoriale e della dispersione geografica dei cittadini. Al contrario sarebbe stato molto più comodo ed economico ribaltare questo onere su singoli individui preparati al compito. Per questo motivo nel tempo si realizzò una sorta di contratto sociale tra Stato e gruppi di individui, che da allora in avanti sarebbero stati indicati con il termine Professionisti. Questo contratto, come avviene abitualmente, comportava inizialmente una serie di doveri e diritti finalizzati all’equilibrio degli interessi di tutte le parti in causa: il cittadino, i professionisti, lo Stato.
Ciascuno avrebbe tratto vantaggio dall’accordo: il cittadino avrebbe ricevuto le cure di cui aveva bisogno in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo, il professionista avrebbe tratto profitto dalle proprie competenze, lo Stato avrebbe assolto al proprio mandato sociale. Ciò accadde per la tutela di tutti i bisogni primari dei cittadini, non solo la salute. Per questo nell’orbita delle professioni entrarono di volta in volta figure diverse: avvocati, ingegneri, farmacisti, ecc. (i notai c’erano già da molto tempo).
Il mantenimento di tale equilibrio era subordinato però all’introduzione di alcune condizioni imprescindibili perché le parti in causa non perdessero il proprio interesse personale ad accettare e rispettare l’accordo. In breve, tali condizioni erano le seguenti:
In cambio dl servizio reso ai cittadini per conto dello Stato (ma a spese proprie) lo Stato si impegnava a dare garanzie di esclusiva ai professionisti impedendo che altri individui (non qualificati) entrassero nella professione (calmiere qualitativo);
Lo Stato si impegnava altresì a contenere il numero dei professionisti regolari (calmiere quantitativo). In questo modo l’interesse originale dei professionisti (quello del momento in cui il contratto fu sottoscritto) sarebbe stato mantenuto anche nel tempo futuro. Da qui nacque l’espressione “professioni protette” di cui si parla tutt’oggi. Protette da cosa? Protette da una concorrenza che se fosse aumentata avrebbe dato benefici soltanto a due delle tre parti in causa (stato e cittadini) a scapito della terza (il professionista), che avrebbe visto redistribuito su una molteplicità di soggetti i redditi che inizialmente erano stati destinati a pochi. Gli strumenti con i quali lo Stato avrebbe protetto i professionisti erano fondamentalmente quattro: il contenimento del numero dei professionisti, il blocco esercitato verso le società di capitale, il divieto di fare pubblicità, l’introduzione di un tariffario minimo obbligatorio;
In cambio della “protezione” da parte dello Stato le professioni, oltre a svolgere un servizio per il bene comune, avrebbero anche accettato di dare garanzie sulla qualità tecnica e morale dei propri rappresentanti. Per questo motivo il laureato in medicina ha accettato di sottoporsi ad uno strano rito di iniziazione alla professione chiamato “esame di abilitazione professionale” o “Esame di Stato” (appunto!!). Il passaggio rappresentava la differenza tra chi era solo teoricamente formato per fare un certo mestiere (dottore) e chi invece era certificato (dallo Stato a garanzia dei cittadini) per fare una professione;
Serviva poi un meccanismo di controllo del sistema che fosse di garanzia per i diritti di tutte le parti. Stato e Professionisti convennero che si sarebbe dovuto costituire un Organo di vigilanza che facesse da mediatore tra gli interessi di tutti ed al contempo da custode della moralità dei professionisti secondo principi etici condivisi. Così nacquero gli Ordini professionali ed i codici di deontologia. Agli Ordini potevano iscriversi solo gli individui che avevano conseguito una laurea e superato l’esame di stato, qualificandosi prima come persone fisiche, poi come “dottori” ed infine come “professionisti”. Agli Ordini potevano guardare con fiducia sia i Professionisti, che lo Stato, che i cittadini per dirimere i contenziosi stragiudiziali circa il rispetto degli accordi presi (tecnici, economici, o deontologici che fossero). Ciò sarebbe avvenuto anche attraverso sanzioni più o meno severe a carico del professionista.
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Quello appena descritto è lo scenario originale entro il quale è stato costituito il rapporto tra Stato e professionisti. In quel quadro si sono formate quasi tutte le generazioni attualmente operanti. Agli impegni assunti da quel contratto si attiene ancora oggi la stragrande maggioranza dei professionisti. In questo contesto era stato costruito il mito del professionista onesto ed esemplare, infaticabile ed immancabilmente ricco. La sua ricchezza rappresentava la contropartita economica per il mantenimento di un altissimo profilo morale e per l’azione vicariante alle inefficienze dello Stato. Il riconoscimento di questo ruolo da parte dell’opinione pubblica rendeva anche meno impopolare il tenore economico ad esso correlato, considerato anzi implicito e naturale.
Il dramma che attualmente affligge i professionisti deriva dal fatto che loro sono rimasti sempre fedeli al contratto stipulato dai loro nonni, mentre lo scenario tutto intorno è radicalmente mutato. Dei tre contraenti iniziali, i professionisti sono gli unici ad aver mantenuto l’accordo.
Lo Stato ha progressivamente smantellato i privilegi accordati ai professionisti:
favorendo la pletora di laureati;
consentendo la libera circolazione dei professionisti in ambito europeo;
consentendo la spersonalizzazione del rapporto in favore dei gruppi economici;
delegittimando gli Ordini professionali e mettendoli in condizioni di non poter agire;
abbattendo i regimi tariffari;
rimuovendo i vincoli sulla pubblicità;
assumendo un atteggiamento tollerante nei confronti dell’abusivismo;
imponendo un regime fiscale iniquo nella forma (si pensi all’IRAP) e vessatorio nella sostanza (aliquote insostenibili);
ricostruendo intorno alla professione un intrico kafkiano di normative ed obblighi che la rendono quasi impraticabile oltre che irriconoscibile (sicurezza, privacy, accreditamento, politiche del lavoro, fisco, aggiornamento, medicina legale, ecc.).
In parallelo, il cittadino ha progressivamente smantellato il rapporto di fiducia:
alimentando campagne mediatiche infamanti per la categoria;
incrementando il contenzioso medico legale a scopo di risarcimento;
ricorrendo consapevolmente alle prestazioni degli abusivi;
e facendo della battaglia contro i privilegi dei professionisti una moderna lotta di classe.
Lo scenario originale risulta oggi talmente mutato da far apparire il professionista come un corpo estraneo pronto per essere espulso dal sistema. Non che il dentista sia scevro da colpe proprie se si pensa a fenomeni quali il prestanomismo o certe forme di stregoneria che nulla hanno a che fare con gli uomini di scienza. Né vanno dimenticate le nostre rappresentanze sindacali, talora semplicemente acquiescenti, talora francamente conniventi con interessi politici o economici molto lontani da quelli dei singoli che rappresentano. Così come devono essere riconsiderate l’utilità e l’opportunità di società scientifiche o riviste che sono in grande misura asservite al potere economico delle aziende del settore.
In tutto questo, la recente e perdurante crisi economica ha marciato allegramente sulle macerie di un contratto sociale che di fatto non esiste più.
Qui c’è da ripensare tutto: modificare comportamenti, modalità di aggregazione, forme di lobby e di condizionamento politico, codici di autoregolamentazione, individuazione delle authority. Soprattutto è evidente che il professionista isolato e privo di grandi risorse economiche non è attrezzato per sostenere una posizione di trincea anacronistica e grottesca come quella attuale. Serve un cambio di paradigma anche nel modo di concepire una professione moderna, meno dipendente dalla benevolenza altrui e più responsabilizzata ad agire in prima persona. Da questo sentimento nasce Dentist4, www.dentist4.it.
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