Sui minus della S.a.s., quando paragonata alla Srl, si è già detto a più riprese. Soprattutto in relazione agli eventuali eventi patologici e alle loro conseguenze […]
Sui minus della S.a.s., quando paragonata alla Srl, si è già detto a più riprese.
Soprattutto in relazione agli eventuali eventi patologici e alle loro conseguenze su una eventuale procedura fallimentare.
Premesso che le cose possono andare storte anche senza alcuna colpa del titolare (principalmente a causa di infortuni e malattie che possono rendergli impossibile lavorare per un tempo più o meno lungo, ipotesi assai concreta in tutti quei casi in cui il titolare ha redditi e fatturati medio bassi e in cui quasi sempre sbriga da solo tutta o gran parte della produzione ), un fermo prolungato comporta inevitabilmente per lui l’impossibilità di onorare gli impegni e persino, una volta partita la dichiarazione di insolvenza, deve aggiungersi che le conseguenze della procedura fallimentare sul malcapitato possono essere molto pesanti e ben più restrittive delle analoghe procedure previste per il fallimento delle società di capitali.
Se poi prendiamo in esame l’aspetto patrimoniale, appare evidente che le società di persone non ti portano mai troppo lontano dalla situazione di partenza. Uno dei principali minus dell’esercizio professionale risiede nel fatto che lo stesso comporta per il professionista il dover rispondere con l’intero suo patrimonio nei confronti dei terzi e non solo con quella porzione dello stesso che è dedicata all’attività. Si sceglie la srl e non la sas o la snc principalmente per questo.
E tuttavia non abbiamo mai portato il confronto sul piano fiscale. Proviamo a prendere in considerazione l’ipotesi maggiormente ricorrente: quella di uno studio medio, che fattura dai 300 ai 450 mila euro e che ha redditi intorno ai 70 mila euro annui. Al titolare viene detto dal proprio commercialista che i numeri per la srl non ci sono e che quindi è meglio costituire l’ambulatorio (o la stp) in forma di sas, anche perché va in contabilità semplificata, costa meno e il reddito va per trasparenza.
Sarà poi vero? Vediamo nel solo modo corretto e cioè facendo dei semplici conti.
Nella situazione di partenza e cioè quando esercitava come professionista, con un imponibile pari a 70 mila euro, il titolare subiva una imposizione marginale pari al 22,63% netto a titolo di IRPEF (ad aliquote 2022), pari al 19,50% a titolo Enpam e al 2,28% netto a titolo di addizionale comunale e regionale.
Gli importi sono i seguenti:
70.000 x 19,5% = 13.650 quota b Enpam
Imponibile al netto delle deduzioni Enpam = 53.350
Imposta lorda IRPEF = 15.841
Addizionali = 53.350 x 3% = 1.600,50
IRAP = 0
Nel complesso, il titolare professionista pagava euro 15.250,50 a titolo di imposte ed euro 13.650 a titolo di contributi Enpam, per un totale complessivo di euro 28.900,5.
Nella trasformazione a S.a.s. bisogna distinguere due casi: se la struttura di arrivo è una sas di gestione di un ambulatorio oppure se è una sas-stp. Andrebbe poi anche specificato quanti soci ci sono visto che la sas unipersonale non è ammessa e con quali quote entrano. Lasciamo per ora da parte questa questione e facciamo i conti come se la sas fosse unipersonale, per motivi che diverranno chiari se avrete la pazienza di seguirmi nel ragionamento.
1. Nel primo caso, abbiamo due ulteriori opzioni: la prima è quella rappresentata da una società che va per trasparenza e quindi paga le imposte sull’utile senza prelevare compensi con la fatturazione delle prestazioni effettuate dal titolare. In questo caso la tassazione è esattamente uguale a quella già descritta.
2. Il secondo caso è quello del titolare che fattura le proprie prestazioni, in tutto o in parte, ma il risultato finale ovviamente non cambia. Questo sia perché Enpam ti tosa sui compensi come sugli utili in proporzione alle quote che detieni come socio medico nella società, come anche perché la tassazione per trasparenza comporta che si paghino IRPEF e addizionali esattamente come nel caso di partenza.
Tuttavia, trattandosi di S.a.s. in entrambi i casi dobbiamo aggiungere il prelievo Enpam sul fatturato, che nell’ipotesi di partenza era compreso tra i 300 mila e i 450 mila. Ne deriva che, essendo tale prelievo pari allo 0,5% del fatturato, va aggiunta una ulteriore somma compresa tra 1500 e 2250.
Se invece la struttura di arrivo è una sas-stp, valgono le stesse considerazioni già effettuate per il caso precedente, con la sola differenza che non andremo a calcolare anche l’ulteriore contributo sul fatturato, previsto dall’Enpam solo per gli ambulatori e non per le stp.
Resta il fatto che la trasformazione in sas o in sas-stp non comporta alcun vantaggio in termini di imposizione sul reddito e contribuzione Enpam rispetto alla situazione di partenza. E a maggior ragione quando i redditi sono medio bassi (in realtà esistono casi in cui la tassazione per trasparenza può divenire conveniente, ma si tratta di quei casi in cui non solo i redditi sono medio alti ma anche i soci sono tanti. Ricordo di passaggio che anche questa tuttavia non può essere utilizzata come motivazione pro srl, non foss’altro perchè anche quest’ultima può scegliere di essere tassata per trasparenza, esattamente come la sas, invece che con IRES ).
L’unica vera differenza potrebbe essere legata al fatto che nella società si configurano situazioni in cui agli stessi costi corrispondono maggiori deduzioni rispetto alla situazione di partenza, che ovviamente possono essere le più diverse a seconda del caso preso in considerazione e quindi non si prestano ad essere collocate in una simulazione. Come anche nei casi in cui si presentano costi aggiuntivi che nella situazione di partenza semplicemente non esistevano (assicurazioni per la responsabilità civile per la struttura sanitaria, previste sia per l’ambulatorio che per la stp in primis).
La presenza di queste maggiori deduzioni o di questi maggiori costi deducibili rispetto alla situazione di partenza potrebbe tradursi in un minor aggravio fiscale ma anche e corrispondentemente in un minor reddito disponibile. Non entro in questo ginepraio, perché comunque il peso di questi elementi disturbanti nella simulazione non possono essere tali da alterare in misura sensibile il risultato finale (a parte casi sporadici).
Tuttavia, una cosa è certa: l’IRAP la società la paga comunque e si tratta di un esborso tributario in più rispetto alla situazione di partenza. Inoltre, quasi non bastasse, la base imponibile di questo tributo non coincide quasi mai con quella dell’IRPEF. Ad esempio, i costi del lavoro per i lavoratori in contratto a tempo determinato non sono deducibili dall’IRAP mentre lo sono dall’IRPEF. Tutto questo per dire che l’effettivo esborso in termini di IRAP può essere diverso da quello suggerito dalla semplice aliquota nominale. In ogni caso, prendiamo in considerazione – per semplicità – un ulteriore 4% sul reddito imponibile al netto delle deduzioni Enpam e non stiamo molto lontani dal vero.
Resta il fatto che per il professionista tale trasformazione in sas non solo non comporta alcun vantaggio fiscale, ma anzi quasi sempre comporta un aggravio fiscale e contributivo pur a questi livelli di reddito.
Tutto questo – va specificato – potrebbe essere in parte mitigato dalla presenza – peraltro obbligatoria nella sas e nella snc – di almeno un altro socio. E’ chiaro che la tassazione per trasparenza porterebbe a fare calare il carico fiscale complessivo rispetto alla simulazione semplificata appena effettuata.
Si deve infatti considerare che tale regime prevede di dividere il reddito su più teste in proporzione alle quote e poi di tassarlo in capo a ciascun socio con imposizione ordinaria IRPEF + addizionali. E’ chiaro che se le quote fossero 50 e 50 o anche 49 e 51 l’aliquota marginale media complessiva scenderebbe e così anche la tassazione in termini di imposte nette da pagare. Certo, su questi livelli di reddito il risparmio non potrà mai essere molto sensibile, ma ci potrebbe comunque essere un vantaggio. Se non fosse che nella mia esperienza e nella gran parte dei casi, il titolare di queste sas, quando è obbligato ad inserire un socio come nel caso della sas, mette un parente stretto e gli assegna quote in proporzione minima (5%), a volte anche per condivisibilissime ragioni. La divisione del reddito su più teste ovviamente in casi come questi perde gran parte della sua forza e ci porta a situazioni non troppi dissimili da quella già evidenziata dalla simulazione.
Torneremo su questa questione più avanti ma già da ora possiamo anticipare che tutto quello che si può fare in una S.a.s. lo si può fare anche in una Srl.
Vediamo invece cosa accadrebbe se trasformassimo lo studio di partenza in srl o in srl-stp unipersonale.
Il titolare potrebbe fatturare parte delle operazioni alla srl in toto o in parte. Trattandosi di redditi non altissimi, è assai probabile che fatturi tutto quello che può.
La società, tuttavia, è sempre gravata da maggiori costi rispetto allo studio. Ipotizziamo che tali costi siano pari a circa 5000 euro annui.
Il reddito disponibile per la fatturazione delle prestazioni passa da 70 a 65 mila. Poiché non è quasi mai il caso di portare l’utile a zero, ipotizziamo che almeno 1000 euro di utili li si voglia conseguire. Ne deriva che il titolare potrà fatturare per prestazioni alla società fino a 64.000 euro.
La srl paga il 24% di IRES e il 4% di IRAP su un reddito di 1000
IRES 240 euro
IRAP 40 euro
Totale imposte sulla srl 280 euro
Il titolare pagherà invece
64.000 x 19,50% = 12.480
1000 x 19,50% = 195 (nell’ipotesi di srl unipersonale)
Totale = 12.675 a titolo di Enpam
Imponibile al netto delle deduzioni
51.325
IRPEF = 14.970
Addizionali 1.539,75
Nel complesso, 16.509,75 a titolo di imposte e 12.675 a titolo di contributi, per un totale di euro 29.184,75.
Considerando anche le imposte sulla società, pari a 280 euro, arriviamo a 29.467,75.
Andrebbe poi considerata l’ulteriore differenza tra stp e srl pure quanto al contributo sul fatturato dovuto ad Enpam, ma se consideriamo che questo contributo è dovuto sia nel caso della srl che della sas, possiamo evitare di perdere tempo.
Lo scopo di questa pillola è duplice: da una parte farvi capire che a redditi inferiori a certe soglie la convenienza della società a livello fiscale non esiste e non esiste sia per la sas che per la srl.
Dall’altra, punto molto più importante, è che non esiste alcun valido motivo per cui preferire una sas alla srl. A fronte di un onere fiscale pressoché equivalente, si impongono tutte le minus che caratterizzano le società di persone.
Ora abbiamo sfatato anche l’ultima delle favole che qualche consulente vi racconta.
Si badi bene che il discorso potrebbe variare inserendo altri soci (cosa che peraltro nelle società di persone è anche obbligatorio) ma ciò non cambierebbe comunque il risultato finale, perché tutto quello che si può fare in una sas si può fare anche nella srl, compresa persino l’adozione di un regime per trasparenza.
Considerazioni in parte diverse potrebbero farsi quando la struttura di partenza fosse uno studio associato, per il semplice motivo che quest’ultimo, a differenza del professionista singolo, deve sottoporsi anche al prelievo IRAP. In un caso come questo quindi il passaggio su questi livelli di reddito pro-capite (lo studio associato con due soci dovrebbe avere un’imponibile di partenza pari a 70.000 x 2 = 140.000) non cambierebbe di una virgola il giudizio finale su questo tipo di operazioni. Anche perchè due professionisti che si sono divisi il reddito in certe proporzioni nello studio associato tenderanno quasi sempre a replicare la stessa divisione in quote anche nella srl, comportando alla fine effetti pressoché analoghi nel regime di trasparenza cui sono assoggettati i redditi della sas e/o dei propri redditi professionali.
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