La recente iniziativa promossa da Andi con un famoso gruppo assicurativo europeo, ha riaperto un dibattito sulle convenzioni che ciclicamente tra i dentisti genera nuove tensioni.
La recente iniziativa promossa da Andi con un famoso gruppo assicurativo europeo, ha riaperto un dibattito che ciclicamente tra i dentisti genera nuove tensioni.
Premesso che le distinzioni manichee tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (come tra il bene ed il male) lasciano spesso il tempo che trovano, in quanto soggettive, ci sono fondamentalmente due approcci possibili al tema delle convenzioni in odontoiatria.
Il primo tipo è l’approccio ideologico ed è quello adottato dalla maggior parte dei dentisti che parlano dell’argomento, indipendentemente dal fatto che si schierino contro o a favore dei convenzionamenti con i terzi paganti. In questo caso le valutazioni discendono dai propri convincimenti politici e sindacali, da sentimenti radicati di simpatia o antipatia, dal pregiudizio o dalla scarsa conoscenza del sistema, dall’esperienza passata e da uno storico personale più o meno positivo. Chi ha un’approccio ideologico dovrebbe avere una visione d’insieme del comparto odontoiatrico, dovrebbe lavorare per strategie comuni tra i professionisti, avere una mentalità collettiva e non individuale. Del resto le ideologie (anche nella loro accezione più benevola) sono intrinsecamente finalizzate al controllo ed al raggiungimento o massimizzazione del bene collettivo. Per questo l’approccio ideologico dovrebbe essere adottato da chi si assume responsabilità di leadership nella comunità dei professionisti. Chi rappresenta la categoria, dovendo tutelare la maggioranza dei propri sodali, deve muoversi nell’ambito della massima prudenza e delle tutele, assicurando per sè e per tutti margini di sicurezza in ogni progetto che non sia un semplice piegarsi agli eventi o alle mode, bensì innalzare barriere di protezione in favore del proprio gruppo. In linea generale, i vertici di una associazione, non dovrebbe consentire o, peggio ancora, favorire eventi che possano in qualsiasi modo danneggiare coloro che rappresentano, intesi come comunità che affida un mandato rappresentativo a tutela dei propri interessi. Nel caso di specie, ovvero la sottoscrizione di un accordo di convenzione, non dovrebbe (o meglio, non avrebbe dovuto) procedere da contenuti e previsioni così mortificanti da rappresentare un peggioramento globale e marcato delle condizioni economiche di lavoro dei propri associati. Soprattutto quando tale accordo rappresenta un grandissimo vantaggio per la controparte (giacchè questo è la prova del potere contrattuale che si poteva mettere in campo). Nè vale come attenuante, neppure parziale, l’idea che il male messo a contratto fosse oramai inevitabile. Questo si addice agli atti di resa, non a quelli di protezione.
Il secondo approccio è invece quello laico, ovvero quel misto di competenza e di opportunismo che è tipico di chi sa cogliere le occasioni o di chi sa sfruttare anche le minacce, trasformandole in opportunità. Questo tipo di approccio si addice di più ai singoli che, negli spazi lasciati liberi dai propri contratti sociali (sindacato, partito, legge, fede), si muovono più liberi dei gruppi ed anche più svelti. Il singolo si flette agli eventi con grande duttilità, si assume in proprio i rischi delle scelte e non determina (volutamente) la tendenza o la moda di pensiero. Il singolo dovrebbe obbedire solamente al perseguimento del proprio interesse (non solo economico, ma anche sociale, affettivo, relazionale) e per fare ciò dovrebbe, prima di tutto, conoscere il proprio interesse e poi renderlo possibile. Un atteggiamento laico presuppone infatti che si conosca perfettamente il margine di rischio o di beneficio che una convenzione può portare all’interno dello studio: le convenzioni non sono tutte uguali, anzi sono estremamente diverse tra loro ed utilizzare parametri di valutazione standard preconfezionati dal sindacato di riferimento sarebbe un errore. Ma anche gli studi non sono tutti uguali, e questa estrema variabilità di situazioni specifiche genera situazioni che non sono descrivibili o comprimibili all’interno di una posizione ufficiale, sindacale o politica che sia. Avere un atteggiamento ideologico da parte di un singolo dentista significherebbe porre tutte le convenzioni all’interno della stessa cornice e trattarle tutte nello stesso modo. Mentre questo atteggiamento si addice ad una associazione come Andi (sarebbe anzi suo preciso dovere), un dentista che approcciasse il tema da una prospettiva collettiva e non personale farebbe lo stesso gigantesco errore che fanno i clinici scadenti quando pensano che tutti i denti cariati debbano ricevere la stessa identica cura.
In sostanza il mio pensiero è che le associazioni, sul tema delle convenzioni, dovrebbero tenere la guardia molto alta perchè il loro compito è tutelare i propri iscritti dai potenziali pericoli. Il dovere, morale ed economico, del singolo dentista è invece quello di rendersi autonomo e consapevole nelle scelte, anche, se lo ritiene, contravvenendo alle indicazioni che riceve dalle proprie rappresentanze: in fin dei conti esercita un sacrosanto diritto, rischiando del proprio sia nel caso di adesione sia nel caso di una rinuncia.
Quando succede il contrario, ovvero le associazioni imbarcano i propri iscritti in avventure spericolate ed i singoli dentisti non hanno strumenti sufficienti per decidere da soli, significa che il sistema è completamente sovvertito ed estremamente confuso. Nessuna delle due parti ha fatto fino in fondo il proprio dovere: nè le associazioni nè il dentista. Ed è in questo clima di incertezza e di paura che fiorisce la concorrenza più becera e determinata, che distrugge sia le prime che i secondi. E in questo clima di incertezza prosperano i gruppi economici che sfruttano l’incompetenza delle associazioni e le divisioni dei dentisti.
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2 Commenti
Grazie per l’articolo.
disamina ineccepibile Lele… dovresti tenere dei corsi di gestione 🙂